(Teleborsa) – Dallo studio “Benessere e Produttività: i benefici economici del Corporate Wellbeing e i costi del ‘non fare’ per le aziende. Evidenze teoriche ed empiriche”, emerge che le aziende che adottano strategie di benessere organizzativo possono incrementare la produttività del 20% e ridurre significativamente i costi legati al turnover. Attualmente, in Italia, i costi complessivi del turnover rappresentano il 16% del costo del personale di un’azienda, con ogni dimissione che ha un costo pari a circa la metà dello stipendio annuo del dipendente che lascia. È quanto emerge dal primo studio italiano condotto da TEHA Group e JOINTLY.
Nello studio vengono approfonditi non solo i benefici diretti ma anche l’abbattimento dei “costi del non fare”, cioè i costi legati al non adeguare la propria organizzazione alle mutate aspettative dei lavoratori, primo fra tutti il costo del turnover.
Un problema non sottovalutabile quello del turnover: il malessere dei collaboratori ha portato quasi un professionista su due (il 42%), a cambiare lavoro nell’ultimo anno, o a pensare di farlo a breve. Nel 2024 — e per la prima volta — il motivo principale è la ricerca di maggior “benessere fisico e mentale” (36%). Alla luce di questi dati, lo studio ha voluto quantificare per la prima volta i costi sia diretti sia indiretti di gestione del turnover, facendo emergere il danno sia economico ma anche l’affaticamento organizzativo legato ad un alto tasso di dimissioni e nuove assunzioni in azienda.
La ricerca evidenzia che un maggiore engagement e senso di appartenenza derivano da un ambiente lavorativo che promuove il benessere fisico e mentale dei dipendenti. Questo approccio non solo migliora la produttività, ma riduce anche i costi associati al turnover, stimati tra 11.000 e 13.000 euro per dipendente che lascia.
È stata poi replicata l’analisi differenziando per settori merceologici e per dimensioni di impresa (tenuto conto dei diversi livelli di turnover e di RAL), arrivando a quantificare che il costo del “non fare” può arrivare a rappresentare un importo significativo sui conti economici delle imprese: fino al 26,8% del costo del personale nel settore dei servizi, e fino al 22,4% nelle PMI.
Il Corporate Wellbeing, secondo lo studio, permette di efficientare il costo del lavoro con un effetto moltiplicatore pari a 4,5 volte il costo sostenuto dall’azienda. Francesca Rizzi, CEO di JOINTLY, sottolinea che “Definire una strategia di Corporate Wellbeing significa mettere le basi affinché un’azienda possa rimanere competitiva, e garantirsi capacità di innovazione e livelli di produttività ottimali, grazie ad un approccio sostenibile sul mercato del lavoro. Passare da singole iniziative estemporanee e disorganiche a una strategia integrata per il Corporate Wellbeing richiede l’endorsement del top management e una cultura aziendale improntata all’ascolto e all’innovazione. Un percorso quindi lungo, non sempre in discesa e lineare ma appassionante perché consente a un’impresa di essere più profittevole e sostenibile nel lungo periodo. I numeri e i casi illustrati nella ricerca, infatti, dimostrano che una strategia di Corporate Wellbeing aumenta la produttività, riduce i costi del turnover e consente di rendere più efficiente il costo del lavoro”.
“Oggi più che mai migliorare la ‘qualità’ del luogo di lavoro rappresenta una sfida cruciale per quelle imprese che vogliono attrarre le migliori risorse presenti sul mercato del lavoro e rafforzare la propria capacità di retention. Il mondo del lavoro, come abbiamo evidenziato nello studio, è sempre più caratterizzato da una crescente difficoltà di recruiting, dimissioni e quiet quitting” – ha commentato Pio Parma, Senior Consultant dell’Area Scenari e Intelligence di TEHA Group.
“Lo studio ha ricostruito, per la prima volta in Italia, i benefici per le aziende derivanti dall’adozione di una strategia integrata di Corporate Wellbeing per aumentare la produttività e ridurre i costi interni, molti dei quali ‘sommersi, offrendo così ai decisori aziendali uno strumento concreto per il miglioramento della propria strategia di attraction, engagement e retention dei dipendenti”.