(Teleborsa) – Il voto plurimo in Italia è stato adottato in scarsa misura da società quotate sul mercato regolamentato (Euronext Milan), dove tra le circa 200 società attualmente sul listino ce ne sono solo 6 con azioni a voto plurimo, mentre maggiore è la diffusione tra le società che hanno avuto accesso al sistema multilaterale di negoziazione di crescita italiano (Euronext Growth Milan), dove tra i circa 200 emittenti sono presenti categorie di azioni a voto plurimo in 36 società (dati al 30 aprile 2025). È quanto emerso da una presentazione di Federico Ghezzi, professore di diritto commerciale presso l’Università Bocconi, alla conferenza organizzata da Consob sugli strumenti di potenziamento dei diritti di voto.
Guardando all’Euronext Milan, le società quotate i cui statuti prevedono categorie di azioni a voto plurimo – 6 imprese di medie dimensioni – si caratterizzano (prima dell’introduzione del voto plurimo) per la presenza di un fondatore o di un nucleo familiare di riferimento al quale e ascrivibile una posizione di controllo di fatto o di diritto. In tutti i casi il moltiplicatore del voto è fissato in 3 voti per azione, la massima leva del controllo disponibile al momento della quotazione delle azioni di tali società sul mercato.
Dalla ricerca, realizzata insieme a Federico Urbani, è emerso che gli statuti delle società che prevedono la presenza di azioni a voto plurimo configurano quest’ultimo come uno strumento simil-loyalty, ossia dalle caratteristiche tipiche della maggiorazione del diritto di voto riconosciuta agli “azionisti fedeli”. Ciò non tanto con riferimento ai meccanismi di attribuzione del voto sovra-unitario, quanto piuttosto avendo riguardo al mantenimento del beneficio: gli statuti prevedono l’automatica conversione in azioni ordinarie, con reviviscenza del criterio “un’azione-un voto” in caso di trasferimento degli strumenti i questione a terzi esterni al nucleo di controllo. “Nella prassi il voto plurimo si caratterizza quindi come strumento che favorisce il mantenimento, per cessione/trasmissione ereditaria, del potere di influenza dominante ma che sfavorisce il mercato del controllo”, ha sottolineato Ghezzi.
Sull’Euronext Growth Milan sono presenti, al 30 aprile 2025, 36 società con azioni a voto plurimo (su un totale di 203), un numero piuttosto significativo. Inoltre, nel 2024-2025 il fenomeno “sembra inoltre avere subito una decisa accelerazione”, ha detto l’esperto. Tra il 1° gennaio 2024 e il 30 aprile 2025 sono state realizzate 24 IPO (21 nel 2024, 3 nei primi quattro mesi del 2025). In 11 di questi casi, dunque una quota vicina al 46%, le imprese hanno adottato il voto multiplo prima dell’IPO.
“Questi dati sembrano indicare un apprezzamento crescente dello strumento da parte delle imprese che si affacciano alla quotazione nel mercato di crescita – ha detto Ghezzi – Ed è probabile che l’incremento del moltiplicatore da 3 a 10 abbia rappresentato un incentivo, non so quanto importante, ma sicuramente utilizzato”.
L’entità del moltiplicatore è ben più varia rispetto a quella presente nel listino principale: fotografando l’attuale situazione, in 23 casi (64%) il moltiplicatore è fissato a tre voti per azione; in 9 (25%) è fissato a dieci voti; in 3 (8%) è fissato a due voti; in 1 (3%) è fissato a cinque voti.
Ma cosa è accaduto dopo l’entrata in vigore della Legge Capitali? “La quasi totalità che ha adottato il voto plurimo dopo il 2024 ha adottato il moltiplicatore massimo, con 10 voti per azione”, detto il professore dell’Università Bocconi. In particolare, in questo ristretto lasso temporale, una sola società ha scelto un moltiplicatore pari a 3, una ha fissato un moltiplicatore pari a 5, mentre sei hanno optato per il moltiplicatore massimo consentito, pari a 10 voti per azione. Ad esse, devono aggiungersi tre società che, pur essendo state ammesse alla quotazione prima del marzo 2024, e quindi prima dell’entrata in vigore della Legge Capitali, hanno ora un moltiplicatore pari a 10. Le imprese si stanno quindi orientando verso l’adozione dei moltiplicatori massimi, consentendo ai soci che beneficiano delle azioni a voto plurimo di incrementare l’effetto leva.
Anche in questo caso il titolare della totalità di questi strumenti è il fondatore o comunque un nucleo – spesso di matrice familiare – di riferimento (più o meno frammentato). Solo in poche ipotesi il voto plurimo è attribuito in base a meccanismi aperti alla generalità degli azionisti. Guardando all’effetto leva del voto plurimo, si assiste a un beneficio: marcato in circa il 16,6% dei casi, con il passaggio dal controllo di fatto al dominio sull’assemblea straordinaria; apprezzabile in circa il 75% dei casi, con il rafforzamento del dominio assembleare (anche in sede straordinaria), pur in presenza di una posizione di controllo di diritto già consolidata in capo al nucleo di controllo; decisamente poco rilevante negli altri casi (8%), assistendosi a un semplice rafforzamento del controllo di fatto. “Non ci sono marcati effetti leva – evidenzia Ghezzi – Il voto plurimo integra essenzialmente uno strumento di rafforzamento del controllo, senza tuttavia attribuire vantaggi particolarmente dirompenti”.