(Teleborsa) – La Manovra si appresta ad avviare l’iter parlamentare senza aver prima placato le divisioni che ancora persistono all’interno della maggioranza, con Salvini che minaccia le banche, Forza Italia divisa fra la difesa degli Istituti di credito e la questione degli affitti brevi, mentre dai Ministeri si sollecita una spending review più clemente di quella attuale, che punta a racimolare 7 miliardi.
E’ in questo quadro che si delinea nei prossimi giorni un nuovo vertice di maggioranza, molto probabilmente martedì, per appianare le divergenze prima dello sbarco in Parlamento.
“Ogni lamentela in più sarà un miliardo in più che chiederemo. Gli unici che non si possono lamentare in Italia sono i banchieri”, ha ribadito il leader della Lega Matteo Salvini a proposito del contributo sulle banche, in vista del confronto con gli alleati, che ci sarà probabilmente martedì alla presenza della Premier Giorgia Meloni, e dell’incontro del suo team economico con il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti già in calendario per mercoledì. Salvini ha anche ricordato che la richiesta di 4 miliardi o anche di più (si parla di salire a 6-7 miliardi) è nulla a confronto dei guadagni incassati dalle banche, che la Lega quantifica in 50 miliardi pe il 2025, soprattutto considerato che una parte di quei guadagni è “dovuta alle commissioni che (le banche) impongono ai commercianti o agli interessi che chiedono a chi prende un prestito, o che non danno a chi lascia i soldi in banca”.
Dal canto suo, Forza Italia contesta la forma più che la sostanza e sollecita il titolare del MEF a chiarire se ci sarà un aumento della tassazione sui redditi bancari (tassa sugli extraprofitti) o se il contributo prenderà altre forme, ad esempio quella di un credito d’imposta. E se da un lato si chiede al ceto bancario “un contributo all’economia reale”, dall’altro si parla di un aumento “non concordato” della tassazione.
L’altro dossier calo sono gli affitti brevi, con Forza Italia che propone l’estensione del canone concordato in alternativa aell’aumento della tassazione dal 21% al 26%, che penalizzerebbe il ceto medio.
C’è poi la questione del taglio dei costi dei Ministeri, che vale 7 miliardi, e penalizza soprattutto il dicastero di Matteo Salvini. Una spending review che vede poche alternative, soprattutto non a carico delle banche.
