(Teleborsa) – Un risparmiatore che investe in azioni bancarie subisce una tassazione di oltre il 50%. Sul reddito prodotto dalle banche si sommano varie e maggiori imposte rispetto alle imprese degli altri settori economici: l’Ires (24%), l’addizionale Ires per le banche (3,50%), l’Irap (5,45%, che include, rispetto all’aliquota ordinaria una ulteriore maggiore per le banche) e la cedolare secca sui dividendi (26%). Per le società non finanziare tale tassazione è sempre elevata ma di 4 punti percentuali inferiore. È quanto rileva il vicedirettore generale vicario dell’ABI, Gianfranco Torriero intervenendo sul tema caldo della tassazione delle banche.
Da un recente paper del Centro studi di Unimpresa – nel quale la pressione fiscale per le banche viene definita “paradisiaca” – emerge, infatti, che nel 2023, gli istituti di credito del nostro Paese hanno realizzato, complessivamente, 40,6 miliardi di euro di utili, a fronte dei quali hanno pagato solo 8,1 miliardi di imposte. Ne consegue che il tax rate, cioè il rapporto tra tasse versate nelle casse dello Stato e profitti, è stato pari al 20,1%. Lo scorso anno – prosegue Unimpresa – il fatturato complessivo del settore bancario tricolore è stato pari a 102,6 miliardi e, di questi, 62,1 miliardi sono legati al margine d’interesse cioè ai guadagni sui tassi legati ai prestiti alla clientela. Un risultato non diverso a quello dell’anno precedente: nel 2022 ammontavano infatti ad appena 4 miliardi e 300 milioni di euro le somme versate al fisco, da parte degli istituti, a fronte di 88,1 miliardi di incasso, di cui 45,5 miliardi derivanti dal margine d’interesse e di 25,4 miliardi di utile.
Negli ultimi sei anni, il totale dei versamenti del settore bancario al fisco è di 22,6 miliardi ovvero il 19,6% dell’utile conseguito, pari complessivamente a 11569 miliardi. In media, dal 2018 al 2023, le banche del nostro Paese hanno pagato 3,7 miliardi di tasse a fronte di 86,1 miliardi di fatturato e di 19,2 miliardi di utile.
“Un tax rate, contestato, ma – sottolinea Unimpresa – non corretto, dai rappresentanti del settore, che è nettamente inferiore alla media italiana per aziende e lavoratori, stabilmente superiore al 42%. Ciò senza dimenticare che il peso delle tasse sulle imprese, specie quelle più piccole, è spesso superiore al 60%”.
“Come nel 2022, anche nel 2023 il settore bancario – commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara – ha beneficiato della politica monetaria e dei guadagni straordinari sui prestiti. Il 2024 si chiuderà con risultati ancora migliori. La tassa sugli extra profitti realizzati dalle banche grazie all’aumento del costo del denaro, di cui si è tornati a discutere in questi giorni, rappresenta una misura di equità sociale che serve a ridistribuire la ricchezza prodotta nel Paese per fattori esogeni, cioè esterni all’andamento del ciclo economico interno. Non è chiaro se il governo varerà un provvedimento in questa direzione: dal nostro punto di vista sarà essenziale una linea netta e chiara, evitando, come lo scorso anno, un tira e molla, accompagnato da correzioni talora poco chiare, che hanno generato solo confusione anche sui mercati finanziari”.
Secondo il paper del Centro studi di Unimpresa, che ha elaborato dati della Banca d’Italia, nel periodo che va dal 2018 al 2023, le banche italiane hanno versato complessivamente 22,6 miliardi di tasse nelle casse dello Stato: nei sei anni in esame, i ricavi sono stati pari a 516,2 miliardi (a fronte di costi di 332,7 miliardi) e, di questi, 266,7 miliardi si riferiscono all’attività creditizia (margine d’interesse); gli utili sono stati pari a 115,6 miliardi. In media, ogni anno, nel periodo in esame, le banche hanno realizzato: 86,1 miliardi di “fatturato” (con 55,4 miliardi di costi) di cui 44,4 miliardi legati ai prestiti, versando al fisco 3,7 miliardi, il 19,6% degli utili, pari a 19,2 miliardi medi su sei anni.
Nel 2023, positivamente condizionato dall’aumento del costo del denaro deciso dalla Banca centrale europea, i ricavi sono stati i più alti del periodo osservato cioè 102,6 miliardi (con 57,2 miliardi di costi) e, di questi, ben 62,1 miliardi derivano dal margine d’interesse: le imposte, pari a 8,1 miliardi, corrispondono al 20,1% dei 40,6 miliardi di utili. Anche il 2022 era stato un anno d’oro: i ricavi sono stati pari a 88,1 miliardi (55,5 miliardi di costi) e, di questi, 45,5 miliardi derivano dal margine d’interesse: le imposte, pari a 4,3 miliardi, corrispondono al 17,1% dei 25,4 miliardi di utili. Nel 2021, i ricavi sono stati pari a 82,6 miliardi (55,5 miliardi di costi) e, di questi, 38,4 miliardi derivano dal margine d’interesse: le imposte, pari a 2,2 miliardi, corrispondono al 13,8% dei 25,4 miliardi di utili. Il 2020 è un anno “speciale”, negativamente condizionato dagli effetti della pandemia da Covid: ricavi a quota 78,1 miliardi (costi 55,6 miliardi) di cui 38,7 miliardi dal credito, 1,3 miliardi di tasse pari al 61,5% dei 2,2 miliardi di utile. Nel 2019, i ricavi sono stati pari a 82,3 miliardi (53,9 miliardi di costi) e, di questi, 40,1 miliardi derivano dal margine d’interesse: le imposte, pari a 4,4 miliardi, corrispondono al 28,2% dei 15,7 miliardi di utili. Anche nel 2018, i ricavi sono stati pari a 82,3 miliardi (54,8 miliardi di costi) e, di questi, 41,8 miliardi derivano dal margine d’interesse: le imposte, pari a 2,1 miliardi, corrispondono al 13,6% dei 15,1 miliardi di utili.