(Teleborsa) – Se a prima vista il 2024 potrebbe essere ricordato come l’anno dei record (in termini di occupati, turismo estero, denatalità, debito, astensionismo elettorale), un’analisi più approfondita mette in luce la reale situazione economica e sociale del Paese, caratterizzata dalla “sindrome italiana della medietà”, in cui restiamo intrappolati: il Paese si muove intorno a una linea di galleggiamento, senza incorrere in capitomboli rovinosi nelle fasi recessive e senza compiere scalate eroiche nei cicli positivi. Anche nella dialettica sociale, fatta di disincanto, frustrazione, senso di impotenza, risentimento, sete di giustizia, brama di riscatto, smania di vendetta, non è sfociata in violente esplosioni di rabbia. Ci flettiamo come legni storti e ci rialziamo dopo ogni inciampo, senza ammutinamenti. E’ quanto rileva il 58° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese.
Dalla sindrome italiana all’antioccidentalismo
Il Rapporto mette in luce che la “sindrome italiana” nasconde non poche insidie. La corsa verso i benessere si è fermata: i redditi sono inferiori del 7% rispetto a vent’anni fa e nell’ultimo decennio anche la ricchezza netta pro-capite è diminuita del 5,5%. L’85,5% degli italiani ormai è convinto che sia molto difficile salire nella scala sociale. In questo quadro fermenta l’antioccidentalismo e si incrina la fede nelle democrazie liberali, nell’europeismo e nell’atlantismo: il tasso di astensione alle ultime elezioni europee (51,7%) ha segnato un record nella storia repubblicana:, il 71,4% degli italiani ritiene l’Unione europea destinata a sfasciarsi, il 68,5% che le democrazie liberali non funzionino più e il 66,3% attribuisce all’Occidente (Usa in testa) la colpa dei conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente. Non a caso, solo il 31,6% si dice d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil.
Le lotte identitarie e l’ignoranza
In questa situazione si infiamma la guerra delle identità sessuali, etnico-culturali, religiose, in lotta per il riconoscimento. E, mentre è in atto una mutazione morfologica della nazione (l’Italia è prima in Europa per acquisizioni di cittadinanza: +112% in dieci anni), l’Italia si scopre la patria degli ignoranti: il 30,3% non sa chi è Giuseppe Mazzini, il 32,4% crede che la Cappella Sistina sia stata affrescata da Giotto o da Leonardo, il 6,1% pensa che Dante Alighieri non sia l’autore delle cantiche della Divina Commedia. La mancanza di conoscenze di base rende i cittadini più disorientati e vulnerabili ed alimenta stereotipi e pregiudizi: il 20,9% degli italiani asserisce che gli ebrei dominano il mondo tramite la finanza, il 15,3% crede che l’omosessualità sia una malattia, il 13,1% ritiene che l’intelligenza delle persone dipenda dalla loro etnia.
I conti non tornano: più occupazione, meno PIL
Molti conti non tornano nel sistema-Italia e molte equazioni rimangono irrisolte. Nonostante i segnali non incoraggianti sul PIL, il numero degli occupati è da record, con un incremento di un milione e mezzo di posti di lavoro rispetto all’anno nero della pandemia e un aumento del 4,6% rispetto al 2007. Ma la distanza tra il tasso di occupazione italiano (siamo ultimi in Europa) e la media europea resta ancora significativa: 8,9 punti percentuali in meno nel 2023 ed il mercato del lavoro è caratterizzato da un importante mismatch di competenze (la quota di figure professionali di difficile reperimento rispetto ai fabbisogni delle imprese è arrivata al 45,1% del totale delle assunzioni previste). La produzione delle attività manifatturiere italiane è entrata in una spirale negativa (-1,2% tra il 2019 e il 2023), mentre corre il turismo (le presenze turistiche in Italia segnano un incremento del 18,7% rispetto al 2013).
Le ipoteche sul welfare
Nell’ultimo decennio si è registrato un aumento del 23% in termini reali della spesa sanitaria privata pro-capite, che nell’ultimo anno ha superato complessivamente i 44 miliardi di euro. Ma al 62,1% degli italiani è capitato almeno una volta di rinviare un check up medico, accertamenti diagnostici o visite specialistiche perché la lista di attesa era troppo lunga e il costo da sostenere nelle strutture private troppo alto. Al 53,8% è capitato di dover ricorrere ai propri risparmi per pagare le prestazioni sanitarie necessarie. Sul fronte previdenziale, il 75,7% pensa che non avrà una pensione adeguata quando lascerà il lavoro. In particolare, è l’89,8% dei giovani ad avere questa certezza.
Capitolo amaro per i giovani
La situazione non è rosea se si guardai ai giovani (28-34 anni): Il 58,1% si sente fragile, il 56,5% si sente solo, il 51,8% dichiara di soffrire di stati d’ansia o depressione, il 32,7% di attacchi di panico, il 18,3% accusa disturbi del comportamento alimentare, come anoressia e bulimia. Ma c’è anche una fetta di giovani che si mette in gioco per assicurarsi un futuro migliore e fugge all’estero: al 2013 al 2022 sono espatriati circa 352.000 giovani tra i 25 e i 34 anni.
L’imbuto dei patrimoni
Si profila all’orizzonte un imponente passaggio intergenerazionale di ricchezza, uno degli effetti nascosti della denatalità. Le eredità si concentrano: oggi le famiglie della “generazione silenziosa” e e del baby boom, nati tra il dopoguerra e i primi anni ’60, detengono il 58,3% della ricchezza netta delle famiglie, mentre sono in attesa la “generazione X” (i nati tra il 1965 e il 1980), i millennial e la “generazione Z” (i nati negli ultimi decenni dello scorso secolo e nei primi anni del nuovo millennio).