(Teleborsa) – “Il ‘correttivo 2024’ al Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza, appena pubblicato, ha introdotto la possibilità di presentare la domanda di transazione fiscale già nella composizione negoziata della crisi d’impresa. Sono però previste limitazioni in merito ai tributi compresi e non è previsto il ricorso al giudice se manca il consenso del fisco (cram down)”. È quanto afferma Carlo Cicala, avvocato e docente universitario, che ha più volte ricoperto il ruolo di esperto e di advisor in procedure di composizione negoziata in presenza di crediti fiscali, commentando il nuovo comma 2 bis dell’art. 23 del Codice della Crisi, introdotto dal D.lgs 136 del 2024 pubblicato sulla gazzetta ufficiale il 27.9.2024, il quale ha introdotto numerose modifiche al Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza (CCII). Fra le varie innovazioni, una delle più attese è certamente quella che consente di presentare la proposta di transazione fiscale già nell’ambito della composizione negoziata della crisi, salutata con favore dal presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Commercialisti Elbano De Nuccio sin da quando, nei primi mesi di quest’anno, è stata diffusa la bozza del decreto correttivo.
È noto che debito fiscale e previdenziale rappresentano in un gran numero di casi la principale causa di crisi e insolvenza per le imprese italiane. Quanto potrà essere utile la “nuova” transazione fiscale?
“La novità di quest’ultima riforma consiste nell’aver consentito la transazione fiscale, già prevista in altri strumenti di regolazione della crisi, anche nella composizione negoziata, che è un percorso volontario per mezzo del quale le imprese, in stato di crisi o addirittura di insolvenza, possono chiedere alla Camera di commercio la nomina di un esperto, che agevoli le trattative volte a concludere con i creditori uno o più accordi per raggiungere il risanamento, quando ovviamente ve ne siano ragionevoli prospettive”.
Nell’ambito della composizione negoziata l’intervento del tribunale è solo eventuale, e vi si ricorre qualora siano necessarie, ad esempio, misure di protezione per blocco delle azioni esecutive sui beni dell’imprenditore.
“Dal novero dei creditori interessati alle trattative erano esclusi, sino ad ora, il Fisco e gli enti previdenziali e assicurativi. La novità di cui parliamo, infatti, consiste nella possibilità di estendere queste trattative al Fisco, e di giungere, in caso di adesione di quest’ultimo, ad una transazione fiscale, che determini quindi lo stralcio del debito e una dilazione di pagamento più ampia di quella ordinaria, così come già previsto, ad esempio, negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nel concordato preventivo”.
Quali sono i requisiti per presentare la domanda di transazione fiscale e auspicabilmente ottenere l’accordo del Fisco?
“La proposta di transazione fiscale deve essere più conveniente rispetto alla liquidazione giudiziale (l’istituto che ha preso il posto del fallimento). Si tratta di una logica assolutamente condivisibile e coerente con le altre ipotesi di transazione fiscale previste nel codice della crisi. La convenienza deve essere confermata dalla relazione di un professionista indipendente. Un revisore legale deve poi attestare la completezza e la veridicità dei dati aziendali, il che è comprensibile anche in relazione al fatto che è ora possibile accedere alla composizione negoziata anche senza aver approvato i bilanci degli ultimi tre esercizi”.
Sappiamo che la transazione fiscale per le imprese in crisi non è una novità, ma è stata introdotta da norme a lungo dibattute nel corso degli anni, anche per l’uso distorto che ne può essere fatto. Quali sono i limiti di cui occorre tenere conto, con specifico riguardo alla transazione fiscale nella composizione negoziata?
“Possiamo dire innanzitutto che la transazione fiscale entra nella composizione negoziata in ‘versione ridotta’: mancano, infatti, tra gli altri, gli istituti di previdenza e di assicurazione obbligatoria, e sono altresì esclusi i tributi locali e quelli che costituiscono risorse proprie dell’Unione Europea: in sostanza, si applica solo ai tributi erariali, inclusa l’IVA. Manca poi, una procedura che consenta, come in altri casi, di ricorrere al giudice per omologare l’accordo senza il consenso del fisco, ove cioè quest’ultimo non abbia risposto o abbia reso una risposta negativa. Si tratta del cosiddetto ‘cram down fiscale’, che è invece previsto, al ricorso di determinate condizioni, nell’ambito di altri strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, quali gli accordi di ristrutturazione dei debiti e il concordato preventivo”.
Cosa si può fare, quindi, se il fisco non aderisce alla proposta?
“Senza il consenso del fisco, la transazione fiscale non può essere conclusa nell’ambito della composizione negoziata ma, ricorrendone i presupposti, il cram down potrà essere ottenuto dal tribunale, ad esempio, ed anche con riguardo ai crediti previdenziali e assicurativi ed ai tributi locali, nell’ambito degli accordi di ristrutturazione del debito o del concordato preventivo”.
Quale sorte avranno, invece, i crediti pubblici non compresi nella ‘nuova’ transazione fiscale prevista per la composizione negoziata?
“Come ho detto, tributi diversi da quelli erariali, quali i crediti previdenziali e assicurativi, sono esclusi dalla transazione fiscale nella composizione negoziata. Il che, però, non dovrebbe escludere la possibilità di presentare comunque la proposta di transazione di questi crediti già nel corso della composizione negoziata, per coltivarla, ed eventualmente ottenere il cram dowm, ricorrendone le condizioni, in successivi accordi di ristrutturazione del debito o nel concordato preventivo. Non si comprende, in realtà, la ragione per cui, nella composizione negoziata, la transazione fiscale abbia un contenuto più ristretto che altrove. Dobbiamo poi ricordare che uno degli sbocchi possibili della composizione negoziata è rappresentato dal concordato semplificato. Si tratta di una procedura liquidatoria, a cui si può accedere solo in seguito ad una composizione negoziata che, malgrado la buona fede nella conduzione delle trattative da parte dell’impresa, non abbia portato ad altre soluzioni praticabili previste dalla legge (art. 23, commi 1 e 2, commi a) e b) CCII) per il superamento della crisi e dell’insolvenza. In tal caso, il giudice potrà omologare la proposta di concordato, senza il voto dei creditori (pubblici o privati)”.
La riforma del terzo correttivo ha innovato anche la disciplina del cram down fiscale?
“Sì, stabilendo requisiti più stringenti per ottenerlo. Come si può ben comprendere, si tratta di uno dei punti più delicati della disciplina, dove il legislatore deve conciliare, da un lato, l’esigenza di tutela delle ragioni dei creditori pubblici e, dall’altro, il fine, parimenti meritevole di tutela, del superamento della crisi d’impresa. L’ultimo correttivo ha ampliato la possibilità di accedere alla transazione fiscale, inserendola all’interno della composizione negoziata, ma allo stesso tempo ha ristretto le possibilità di procedere con il cram down fiscale. Ad esempio, per gli accordi di ristrutturazione (art. 63, comma 4, CCI), è stata elevata, seppure non in misura significativa, la soglia di soddisfacimento minima delle controparti pubbliche, che passa dal 30% del debito (inclusi sanzioni ed interessi) al 50% del debito (con esclusione, però, di sanzioni e interessi)”.