(Teleborsa) – “Per il settore agroalimentare, il mercato americano che oggi vale 7,8 miliardi, non è sostituibile” così Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, commenta l’annuncio di Trump sui nuovi dazi all’Ue e quindi anche al nostro Paese.
Ma quale sarebbe esattamente l’impatto sul comparto? Secondo uno studio Coldiretti-Filiera Italia se i dazi dovessero interessare l’intero agroalimentare, il costo stimato per le singole filiere sarebbe di quasi 500 milioni solo per il vino, circa 240 milioni per l’olio d’oliva, 170 milioni per la pasta, 120 milioni per i formaggi, 40 milioni per i derivati del pomodoro, rispetto al dato attuale. “Uno scenario complesso da valutare al di là degli annunci e nel quale L’Europa dovrebbe porsi in maniera più proattiva” afferma Scordamaglia.
Il Mercosur potrebbe sopperire a un eventuale calo del mercato USA?
La firma dell’accordo Mercosur avrebbe un valore addizionale complessivo, per tutte le categorie di prodotto e servizi, di circa 5-6 miliardi, spiega l’AD di filiera Italia a Teleborsa. Risulta impensabile compensare la perdita del mercato USA spingendo sull’accordo Mercosur: i numeri parlano chiaro. Inoltre, il Mercosur può rappresentare un pericolo anche in relazione al possibile accordo fra Ue e India. Se l’Unione Europea non dichiara subito, in merito a questo negoziato, un principio di reciprocità chiaro e vincolante, si aprirà la strada a una politica commerciale rischiosa, dove ogni nuovo accordo – a partire proprio da quello con l’India – diventerà una minaccia diretta per il settore dell’agroalimentare. Senza reciprocità si delineerebbe, infatti, un attacco gravissimo alla sopravvivenza di settori strategici dell’agricoltura italiana, a partire da quello del riso e della zootecnia. L’India, infatti, pretenderebbe, a quel punto, un accesso facilitato al mercato europeo, senza adeguarsi agli standard di sicurezza alimentare, ambientali e sociali che i nostri agricoltori sono obbligati a rispettare. Le conseguenze di questo sarebbero cento volte superiori rispetto a quelle del Mercosur. Pensiamo solo che l’India è, oggi, primo produttore mondiale di latte, con oltre 250 milioni di tonnellate che rappresentano 1/4 dell’intera produzione mondiale e che viene già esportato sotto forma di prodotti per per una quota significativa ad un prezzo nettamente inferiore al nostro. Prospettive di crescita enorme, dunque, considerando che l’India detiene la popolazione bovina e bufalina più grande al mondo, intorno ai 300 milioni, (contro gli appena 74 milioni a livello europeo) e che si affermerà a stretto giro come principale leader, superando la Cina, nella produzione di riso, anche questo coltivato con sostanze chimiche vietate in Europa. Ecco perché un accordo tra UE e India senza una vera reciprocità, sarebbe la fine della filiera agroalimentare europea ed italiana.
A quali altre altre aree del mondo può guardare l’Europa?
Come Europa, spiega Scordamaglia, dobbiamo essere, innanzitutto, coerenti: non esistono dazi buoni e dazi cattivi, altrimenti non potenzieremo mai il nostro interscambio con altre aree del mondo. Sono dazi cattivi quelli di Trump, come lo sono quelli Ue sui veicoli elettrici cinesi – in risposta ai quali la Cina ha minacciato di rispondere con dazi compensativi sull’agroalimentare europeo – e sono negativi anche quelli che vengono applicati sui prodotti importati in Europa, per compensare le emissioni di Co2 di questi stessi prodotti, con costi che sono a carico dei cittadini e dei produttori europei. Anche nei confronti della Russia, fermo restando l’obiettivo prioritario di raggiungere una pace equa, non è totalmente chiara l’attuale differenza tra i comportamenti degli Stati Uniti, che stanno concretamente rilanciando in quel paese rapporti commerciali e di investimento, e l’Europa che continua, invece, ad adottare nuovi cicli di sanzioni che penalizzano sempre di più sia le nostre aziende esportatrici, sia quelle che continuano ad operare in Russia. Il tutto mentre la Germania, nel 2024, ha quintuplicato le importazioni di gas liquido dalla Russia mentre l’Italia, coerentemente con un approccio europeo, resta il Paese che ha maggiormente aumentato le importazioni di gas naturale liquido GNL dagli Stati Uniti, uno strumento questo di cui lo stesso Trump ha sottolineato l’importanza per riequilibrare la bilancia commerciale. Tra l’altro, gli effetti negativi dei dazi di Trump sugli americani iniziano a emergere attraverso un rapido aumento dell’inflazione americana che ostacola il taglio dei tassi di interesse, come Trump vorrebbe, e rafforza il dollaro. Effetti negativi che si ripercuotono sugli stessi agricoltori americani, direttamente colpiti dai divieti sui prodotti agricoli statunitensi imposti dai cinesi come ritorsione ai dazi USA.
Questione clean industrial deal e burocrazia europea: in che modo influiscono sulla competitività dell’Ue?
In sintesi, afferma l’AD di Filiera Italia, come ha già dichiarato Mario Draghi, è vero che i dazi potrebbero danneggiarci, ma sarebbe un danno molto esiguo rispetto a quello che ci stiamo già autoinfliggendo come Europa attraverso una iper-regolamentazione voluta dalla passata Commissione che ha zavorrato enormemente la nostra crescita. La sola burocrazia europea costa, infatti, 150 miliardi di euro all’anno. Il processo di semplificazione, appena avviato in questi giorni dalla commissione Europea appare, per ora, insufficiente e dovrebbe andare ben oltre un semplice posticipo di rendicontazione ambientale di sostenibilità per le aziende o del posticipo delle multe per le case automobilistiche che non hanno scelto l’elettrico. Semplificare vuol dire, ad esempio, eliminare l’obbligo di motori elettrici al 2035 e sostituirlo con il principio di neutralità tecnologica, un principio che stabilisca un obiettivo concreto e perseguibile di riduzione delle emissioni, lasciando ad ogni Stato membro i mezzi e gli strumenti tecnici per raggiungerlo. Il segnale di apertura iniziale inviato ieri dalla Commissione riguardo agli e-fuels e ai biocarburanti è positivo ma dovrebbe essere più deciso. Per quanto riguarda, invece, la competitività europea, è illusorio pensare che la si possa ottenere solo con buona volontà e obblighi normativi imposti dall’alto. Servono, invece, fondi veri con cui sostenere. – analogamente a quanto fanno USA e Cina – le imprese europee; fondi che possono essere ottenuti solo mediante debito comune europeo, con la speranza che la Germania possa attuare rapidamente le riforme costituzionali necessarie per rimuovere il limite alla spesa sul loro debito pubblico. La vera sfida per il futuro dell’Europa sarà ottenere gli 800 miliardi necessari per ReArm Europe. Ne è stato discusso al vertice dei Capi di Stato e di Governo di oggi dove si sono confrontate posizioni ancora divergenti: da un lato, Francia, Italia e Spagna che spingono per un debito comune UE per la difesa, dall’altro, Germania e alcuni Paesi del Nord, in posizione opposta: insomma, siamo divisi tra chi vuole un’Europa forte e unita e chi, impedendo la creazione di un bilancio comune, preferisce relegarla all’irrilevanza. Un grande presidente come Sandro Pertini ha detto: “Smantelliamo gli arsenali, riempiamo i granai”. Il contesto è certamente diverso ma non vorremmo che oggi, al contrario, si scelga di “svuotare i granai” – cioè i fondi pac – per riempire gli arsenali europei. Questo significherebbe fare un enorme favore alla Cina che già detiene oltre il 50% delle riserve mondiali di cereali, da sempre convinta che chi controlla il settore alimentare controlli anche il mondo.