(Teleborsa) – “Il corso di Gestione delle imprese familiari è giunto al suo terzo modulo che riprenderà dopo l’estate. Il corso si svolge con una cadenza settimanale: 4 ore alternando il sabato mattina e il venerdì pomeriggio a settimane alterne. Ha l’obiettivo, in questo terzo modulo, di toccare il tema della nascita dell’impresa: si parla di startup; si impara come si può costruire un business plan appetibile per gli investitori; com’è il fabbisogno di capitale, come poter coprire questo fabbisogno di capitale; come impostare un piano di marketing; e a cercare anche la finanza che in queste cose serve e adeguatamente bilanciare gli impieghi con le fonti di capitale”. È quanto spiega Paolo Roffia, Direttore dei corsi di perfezionamento e aggiornamento professionale in gestione delle imprese familiari – Dipartimento di Management presso l’Università di Verona che, nell’anno accademico che si sta svolgendo, tra i corsi di perfezionamento e aggiornamento ad hoc, ha previsto anche una nuova edizione del corso in Gestione delle imprese familiari, ora giunto al terzo modulo.
A chi si rivolge questo corso?
“Mi verrebbe da rispondere a tutti. In realtà si rivolge a tutti quelli che lavorano in un’impresa familiare e vogliono cercare di allargare il proprio business o conoscere meglio quelle che sono le dinamiche legate all’intrapresa in nuovi settori di attività. Tipicamente si pensa a una startup e si pensa a un business plan con un’impresa di nuova costituzione. In realtà anche solo il fatto di allargare il campo di azione in nuove attività richiede, per poter finanziare questo nuovo investimento, di redigere un business plan. Quindi da questo punto di vista sia un’impresa esistente che una nuova impresa hanno entrambe bisogno di conoscere questi strumenti e saperli utilizzare in modo da presentarsi al meglio agli investitori”.
Quali sono i principali benefici che gli imprenditori possono aspettarsi di ottenere partecipando a questo corso?
“Io penso che una conoscenza di questi strumenti aiuti a sapere come dall’esterno ti valutano in quanto imprenditore. Difficilmente servirà conoscere lo strumento per poter fare in prima persona tutte le componenti del business plan, però serve sapere invece che cosa viene misurato dall’esterno. Quindi sapere se un investitore, oltre che una buona idea di business, mi finanzia se ho degli indici di bilancio di un certo tipo o delle attese di ritorno sull’investimento entro 3 anni, 5 anni. Avere la conoscenza dello strumento anche dal punto di vista di chi di mestiere fa l’imprenditore sicuramente è un benefit”.
Sicuramente sono regole che valgono sia per la startup sia per le imprese a linee generali. Ma che impatto hanno le startup sul tessuto imprenditoriale del nostro Paese?
“Le startup sono sono sempre esistite. Si cerca di favorire la crescita dell’imprenditorialità soprattutto nei giovani perché è un modo di autoimpiego, quindi una fonte principale per per alimentare un circuito virtuoso della creazione di nuovi posti di lavoro. Certamente la startup viene finanziata anche da organismi pubblici ma anche privati e, da questo punto di vista, il fatto di continuare a generare nuove imprese è il presupposto per far sì che un tessuto socioeconomico possa continuare a crescere. Se l’impresa equivale a innovazione nuove idee, un’impresa che che che non nasce vuol dire un tessuto che si impoverisce”.
Quali sono i passaggi fondamentali per costituire una startup?
“La cosa più importante è avere un’idea perché senza di quella non non si va da nessuna parte. Un’idea che possa essere innovativa, che possa essere non imitabile, un’idea che possa essere all’avanguardia nel senso di introdurre magari una nuova tecnologia. Il punto di partenza è sempre un’idea imprenditoriale che però da sola non basta perché con l’idea, ma senza tutto quello che viene dopo – cioè la capacità di attrarre finanziamenti il fatto di poter strutturare e far nascere l’impresa, il fatto di poterla agganciare e sviluppare una rete commerciale – l’idea in realtà resta un’idea o un sogno e non diventa nulla di concreto. Bisogna conoscere come partendo da un’idea si arriva poi alla concretezza del business attivo. Ci si fa aiutare in questo, ci sono dei dei profili di investitori che portano la finanza ma anche di soggetti che fanno un ruolo consulenziale che può aiutare a impostare quello che da solo un imprenditore non riesce a fare. Ricordiamoci che da soli è molto difficile poter far nascere un’impresa, serve poter avere il contributo di persone oltre che di collaboratori poi nel durante. L’importante è sapere cosa serve a partire, banalmente, dagli adempimenti burocratici: dal fatto di dire vado dal notaio costituisco l’impresa, la scrivo a registro imprese. Poi c’è l’organizzazione da costruire: quante persone, chi fa cosa, in quali ruoli, la scelta dei propri canali di vendita, il target di riferimento. Ci sono tante analisi e tanti studi che devono essere compiuti nei tempi e dei modi adeguati per poter fare nascere crescere bene il business”.
Quali sono le principali decisioni finanziarie che gli imprenditori devono prendere e come finanziano l’impresa?
“C’è una regola nel mondo della finanza che dice: “fatto 100 il tuo capitale necessario adesso bisogna decidere come dividerlo in due grandi categorie che sono il capitale proprio e il capitale di debito”. Nel mondo della finanza, ormai, si dice “se noi facciamo metà e metà, in una sorta di bilanciamento uno contro uno, non sbagliamo mai tantissimo”. Questo è vero, si chiama anche effetto di leva nel rapporto fra debiti e capitale proprio. Però in realtà per la startup questa regola, che va benissimo per un’impresa avviata, è talvolta un po’ difficile perché molto spesso chi ha un’idea non ha mai tanti capitali. Nel mondo della finanza occorre, dunque, distinguere anche le varie fasi in cui l’impresa si trova: un’impresa nascente difficilmente potrà avere questo bilanciamento metà e metà e, al tempo stesso, un’impresa invece che ha moltissimi anni alle spalle, che ha incontrato dei momenti di difficoltà, probabilmente avrà questo rapporto di leva un pochino sbilanciato, magari il capitale proprio pian pianino si è diluito e ha assunto un peso sempre maggiore il capitale di debito. Possiamo avere una leva che passa da 1 a 2 a 3 a 4 e, in qualche situazione patologica, anche oltre. Da questo punto di vista la finanza ti dà la possibilità di analizzare il tuo fabbisogno finanziario in relazione a quelle che sono le necessità di investimento per il tuo business. Ricordiamoci che le fonti che sono, per esempio, del capitale di debito possono essere in mano diverse categorie di soggetti: ci può essere l’investitore con capitale proprio ma ci possono essere anche delle figure tipiche delle startup, i venture capitalist, cioè i fondi di private equity per fasi successive che fanno strutturalmente l’operazione di investire nel capitale di rischio e attendersi una remunerazione, per chi ha costituito una nuova impresa, anche abbastanza elevata visto che il livello di rischio è molto elevato. Binomio rischio rendimento sempre agganciato in queste fasi”.
Altre sfide importanti che l’impresa familiare dovrà affrontare sono quelle della digitalizzazione e le strategie per l’ingresso nei mercati esteri. Queste sono tematiche che verranno affrontate dal corso?
“Sì certo. Il corso nel quarto modulo si dedica proprio a queste due tematiche. La digitalizzazione è una sfida che è in corso direi da parte di tutte le imprese, digitalizzarsi non è più un’opportunità ma una necessità, rendere i processi amministrativi e di controllo più flessibili e snelli è evidentemente un beneficio. Digitalizzare ha portato a entrare in nuovi nuovi canali a poter vendere online quello che prima invece veniva venduto nei canali tradizionali quindi per molte per molte imprese, anche di dimensione più piccola, è stata un’opportunità ed è un’opportunità sulla quale dover doverci credere, e scommettere ovviamente investire perché digitalizzare significa anche fare investimenti. Il corso dedica attenzione a questo tema, si cercherà di capire quali sono le opportunità offerte dalla digitalizzazione e come poterla realizzare a seconda del settore ma anche del contesto e delle dimensioni dell’impresa. Un altro tema che spesso viene agganciato e che va di pari passo è il tema dell’internazionalizzazione. Sebbene qualche business resterà sempre locale, quasi tutti possono internazionalizzarsi. Internazionalizzazione significa conquistare lato vendite, nuovi nuovi mercati; espandere la propria sfera di influenza; guadagnare in profittabilità. Molte imprese hanno scoperto che fuori dai confini italiani, per esempio, c’è una reddittività che dà dei buoni ritorni. Al tempo stesso internazionalizzazione vuole anche dire saper gestire i rapporti di fornitura perché esistono degli interessanti interscambi con materie prime che vengono spesso da paesi lontani che sono in corso di rifocalizzazione. Cambiare il proprio modello, la propria catena di fornitura, in questi ultimi tempi dopo la pandemia per alcuni è stato proprio un imperativo perché le rotture che ci sono state del ciclo di approvvigionamento hanno enfatizzato il tema del rischio nella catena di fornitura e quindi anche questa è oggetto di attenzione. Due tematiche che nel quarto modulo cerchiamo di analizzare con chi deciderà di iscriversi e di cercare di valutare benefici e lati negativi di queste due opportunità”.