(Teleborsa) – Nel 2023 il fatturato delle società industriali e terziarie italiane di grande e media dimensione ha subito una contrazione, mentre i margini sono stati ai massimi dal 2008. I margini sono stati ampi grazie alla vischiosità del costo del lavoro (perso il 7,6% del potere d’acquisto dal 2021), mentre gli investimenti in crescita nelle aziende pubbliche sono stati trainati dalla transizione energetica. Le aziende a controllo straniero rappresentano il 48,8% delle produzioni ad alta tecnologia e pagano più tasse, mentre la presenza straniera nel made in Italy è al 32,2% (era il 28,5% nel 2004). Sono i punti salienti dalla nuova edizione dei “Dati Cumulativi”, l’indagine annuale dell’Area Studi Mediobanca sulle società industriali e terziarie italiane di grande e media dimensione analizzate nel decennio 2014-2023.
In particolare, sono state esaminate 1.900 società italiane che rappresentano il 45% del fatturato industriale, il 48% di quello manifatturiero, il 45% di quello della distribuzione al dettaglio e il 42% di quello dei trasporti. Le imprese a controllo estero coprono il 48% del fatturato di quelle con più di 250 addetti operanti in Italia e il 70% delle sole manifatturiere. Sono incluse pressoché tutte le aziende italiane con più di 500 dipendenti e una quota significativa di quelle manifatturiere di medie dimensioni.
Il fatturato in calo
Il fatturato delle 1900 imprese ha segnato nel 2023 una flessione annua nominale del 6,8%. Il risultato dipende in ampia misura dalla proprietà pubblica (-20,4%), che opera in prevalenza nelle produzioni energetiche (-29,8%) e petrolifere (-26,4%). Le aziende a proprietà privata, meno presenti in questi settori, hanno ripiegato del 2,5%.
La manifattura ha invece realizzato una variazione marginalmente positiva (+0,8% sul 2022), grazie alle performance dei gruppi maggiori (+4,5%) e di quelli sotto il controllo straniero (+0,7%) che hanno bilanciato l’andamento negativo del IV capitalismo (imprese medie e medio-grandi a controllo italiano: -1,7%). Segno positivo nel 2023 anche per il giro d’affari del made in Italy (+1,6%). L’andamento timidamente favorevole della manifattura nel 2023 è da ascrivere alle esportazioni (+2,2%) che hanno sopperito alla debole dinamica del mercato interno (-0,5%). Tenuto conto dell’evoluzione dei prezzi alla produzione, la manifattura ha segnato nel 2023 un arretramento in termini reali dello 0,9%.
I margini record
Nel 2023 le 1900 società hanno segnato un ebit margin del 6,6%, riportando non solo il massimo decennale (5,8% la media 2015-19), ma il miglior livello dal 2008. Ciò è avvenuto grazie alla contrazione dei costi d’acquisto tornati all’85% circa delle vendite, in linea con la media storica del 2015-19 (84%), e alla permanenza del costo del lavoro (10,1% del fatturato) su livelli ben al di sotto della media pre-pandemica (11,7%).
Tale dinamica ha creato nei margini lo spazio per assorbire gli oneri finanziari, raddoppiati dall’1% del fatturato nel 2022 all’1,9% nel 2023: essi hanno espresso un costo medio del debito pari al 4,2%, massimo decennale e in marcato aumento dal 2,6% del 2022.
La questione salariale
Se la vischiosità dei salari ha contribuito a preservare i margini, essa rappresenta tuttavia un freno alla domanda interna, tanto più rilevante nel caso in cui i mercati esteri dovessero mantenere una dinamica contrastata.
Posto pari a 100 nel 2021 il costo medio del lavoro delle 1900 imprese, il suo valore nel 2023, corretto in base all’inflazione, segna un livello pari a 92,4, per una perdita di potere d’acquisto pari al 7,6%. Sarebbero gli addetti del comparto pubblico ad avere subìto il maggiore depauperamento (-10%), mentre quelli del privato l’avrebbero contenuto al 7%. Quanto invece alla specializzazione produttiva, la forza lavoro della manifattura sopporterebbe una contrazione della propria capacità di spesa (-6,3%) inferiore a quella del terziario (-9,2%).
Made in Italy in mani straniere
Le imprese a controllo straniero rappresentano il 33,1% del fatturato delle 1900 società e il 33,7% di quelle manifatturiere. Notevole la loro presenza nelle produzioni ad alta e medio-alta tecnologia: con riferimento alla manifattura le imprese a controllo straniero sviluppano il 61,4% del proprio fatturato in tali attività, incidenza ampiamente eccedente il 46,7% delle aziende a proprietà italiana. Ne consegue che le società a controllo estero rappresentano il 48,8% delle produzioni ad alta tecnologia in Italia, pur pesando il 33,7% in termini di fatturato.
Anche nelle specialità del made in Italy la presenza straniera si fa sentire: vale il 32,2% delle vendite, rispetto al 28,5% di vent’anni fa, e realizza performance allineate a quelle del made in Italy in mani italiane (medesimo Roi medio nel decennio al 9%). Inoltre, il made in Italy a controllo straniero garantisce un livello retributivo per addetto significativamente superiore: 77mila euro contro 64mila, per uno scarto pari al 20% circa. Infine, le imprese manifatturiere a controllo estero segnano un maggiore tax rate: 23,2% vs 20,6% di quello delle sole italiane nella media 2019-23
Investimenti trainati da transizione
Nel 2023 gli investimenti materiali delle 1900 società, espressi a prezzi costanti, hanno segnato un incremento del 4,3% sul 2022
L’aspetto più eclatante riguarda l’andamento che contrappone il comparto pubblico, +19,5% sull’anno precedente, a quello privato che è invece in declino (-3,1%). La manifattura non ha realizzato significativi scostamenti sul 2022 (+0,2%), mentre il terziario è in marcato regresso (-6,3%), condizionando l’andamento dei gruppi a controllo estero (-7,4%).
Nel segmento pubblico gli investimenti hanno beneficiato dello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, dell’ammodernamento e digitalizzazione delle reti con finalità di elettrificazione e decarbonizzazione dei consumi e dell’installazione delle infrastrutture al servizio della mobilità elettrica. Al netto della componente legata alle energie rinnovabili, la campagna investimenti del 2023 appare quindi all’insegna di una prudenza indotta dall’incertezza prospettica del contesto e dal livello dei tassi d’interesse. Il pur generoso cash-flow non è stato in grado di contrastare la generale instabilità.