(Teleborsa) – Il contesto internazionale è caratterizzato da un’elevata incertezza. Lo rileva l’ultimo bollettino congiunturale dell’Istat, segnalando che l’entrata in vigore, seppur ancora parziale, dei dazi statunitensi del 25% verso le importazioni di Canada e Messico, e l’ulteriore 10% imposto ai prodotti cinesi, suggerisce una crescente probabilità di escalation nelle tensioni commerciali. Queste ultime si aggiungono alle preesistenti turbolenze geopolitiche e potrebbero incidere negativamente sulla domanda mondiale, l’inflazione e le catene globali del valore.
L’Istituto segnala anche che, a fine 2024, gli scambi internazionali di merci sono risaliti, ma le attese per il commercio globale restano negative e ulteriormente aggravate dalla possibile escalation delle tensioni commerciali e geopolitiche.
L’inflazione non è più il problema economico principale a livello internazionale ma continua a rappresentare un rischio rilevante. In questa fase, le pressioni al rialzo sui prezzi sono limitate ma non trascurabili e nuovi rischi inflazionistici, legati allo scenario economico e geopolitico, stanno emergendo.
A fronte di un’economia USA che mostra un lieve ma diffuso dinamismo, l a crescita economica dell’Area Euro è stata rivista al rialzo nell’ultimo trimestre dell’anno, con prospettive in moderato miglioramento. Tuttavia, il dinamismo economico in Europa è risultato sensibilmente inferiore a quello di altre aree, quali Stati Uniti e paesi asiatici.
Il PIL italiano è risultato in marginale crescita a fine 2024. Nel 2024 è cresciuto in volume dello 0,7%, mostrando una progressiva decelerazione nel corso dell’anno. Nel quarto trimestre, dopo la stazionarietà dei tre mesi precedenti, il PIL ha registrato una crescita congiunturale dello 0,1%. Il risultato è stato migliore di quello di Germania e Francia (dove il dato congiunturale nel quarto trimestre è stato pari, rispettivamente, a -0,1% e -0,2 %) e peggiore di quello della Spagna (+0,8%).
L’indice della produzione industriale ha segnato a gennaio un forte rimbalzo, con un aumento congiunturale del 3,2%, che ha più che compensato il marcato calo di dicembre (-2,7%). Tuttavia, la fiducia delle imprese è peggiorata in tutti i comparti a eccezione della manifattura.
Sul fronte dei consumatori, si è registrato un miglioramento del sentiment, trainato soprattutto dalle valutazioni sulla situazione economica personale. Bene anche sul fronte dell’occupazione, che a gennaio ha registrato un aumento diffuso, con un numero di occupati che risulta pari a 24 milioni 222mila di unità. La crescita ha coinvolto gli uomini, le donne e gli individui di tutte le età ad eccezione dei 35-49enni. Per posizione professionale l’occupazione è aumentata sia tra i dipendenti sia tra gli autonomi. Il tasso di occupazione, è salito al 62,8% (+0,4 punti da dicembre). Parallelamente, è diminuita la disoccupazione ed il tasso d’inattività. Da segnalare anche il forte aumento delle retribuzioni contrattuali in termini nominali (+3,1%), con una crescita più ampia nel settore privato (+4%).
Quanto all’inflazione, seppure in leggero rialzo, è rimasta inferiore a quella media dell’area euro. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo ha segnato, sia a gennaio sia a febbraio, un incremento tendenziale del 1,7%.
Il focus di questo mese riguarda l’export dell’Italia e dell’UE verso i Paesi Terzi. A tal proposito l’Istat rileva che sul futuro degli scambi europei pesano numerosi rischi al ribasso, tra cui gli attriti commerciali internazionali e la possibile escalation delle tensioni geopolitiche che creerebbero nuovi ostacoli alle catene globali di distribuzione e approvvigionamento. L’uso crescente di politiche industriali “introverse” in molti paesi e gli orientamenti protezionistici nella politica commerciale, soprattutto degli Stati Uniti, potrebbero, inoltre, influenzare negativamente la crescita del commercio nel breve e medio termine. Dal rapporto emerge che gli USA sono tra i principali partner dell’Italia: nel 2024 hanno assorbito oltre il 10% delle vendite totali all’estero del nostro paese, (un valore simile a quello della Germania, ma superiore a quello della Francia e della Spagna) e oltre un quinto delle vendite di prodotti italiani destinati ai mercati extra europei.