(Teleborsa) – “Preferite fare la spending review ai ministeri o alzare le tasse?”. È questo il richiamo fatto ieri in Consiglio dei ministri, alla vigilia dell’inizio delle audizioni parlamentari sul Piano strutturale di bilancio, dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti supportato dalla premier Giorgia Meloni. In uno scenario che vede il governo a caccia di risorse in vista della redazione della manovra che va messa nero su bianco nelle entro le prossime due settimane, Giorgetti e Meloni chiedono uno sforzo ai ministri per tagliare le spese inutili.
Per Giorgetti c’è margine per reperire risorse anche senza incidere nella “carne viva” dei servizi erogati. La caccia alle coperture passa anche dal rispetto degli obiettivi della spending review, che fissano a 2 miliardi il target per il 2025. Il consiglio dei ministri è stato l’occasione per la premier e per il titolare del Mef per tornare in pressing sui dicasteri ad autodisciplinarsi, riducendo “sprechi” e “inefficienze”. Anche perché altrimenti, avrebbe ripetuto il titolare dell’Economia, toccheranno a tutti “tagli lineari”.
Sulla stessa linea anche Meloni, intervenuta dopo Giorgetti. Secondo la premier ulteriori risparmi sono “possibili”. Meloni si sarebbe rivolta, con accento scherzoso, in particolare al neo ministro della Cultura Alessandro Giuli: “Alessa’, vedi che devi fa’…'”. Tutti i ministri se ne sono andati con l’avvertimento che nelle prossime settimane sarà fatta una “verifica”.
Il puzzle della manovra non è ancora completo, ma con le risorse finora individuate il contatore sarebbe già più o meno a quota 20 miliardi. L’ultimo tassello è delineato nelle tabelle del Piano strutturale di bilancio. Nel quadro programmatico (quello che tiene conto anche dell’effetto delle misure della legge di bilancio) il deficit del 2025 è fissato al 3,3%, mentre a legislazione vigente è pari al 2,9%: questi 0,4 punti di differenza, che equivalgono a circa 9 miliardi, sono la dote in deficit destinata a dare una mano alla messa a punto del capitolo coperture. Nel serbatoio delle risorse ci sono poi i circa 4 miliardi frutto dell’abrogazione dell’Ace (un’agevolazione per le imprese) e dell’introduzione della global minimum tax, che sono destinati a rifinanziare per un altro anno la nuova Irpef a tre aliquote. Si lavora anche ad estendere il taglio ai ceti medi, ovvero i dipendenti con reddito fino a 50-60mila euro, ma questo step dipende dall’esito del concordato per le partite Iva. Per aderire al patto biennale con il Fisco c’è tempo fino al 31 ottobre. Solo dalla spinta del ravvedimento speciale appena approvato il governo punta a racimolare almeno 1,5 miliardi.
Ad arricchire l’elenco delle risorse a disposizione, oltre ai 2 miliardi attesi dalla spending review, c’è anche il lavoro in corso per sfoltire la selva delle tax expenditures. Un dossier complesso, aperto già lo scorso anno e che potenzialmente potrebbe fruttare fino ad un miliardo di risorse. L’obiettivo è un’attenta operazione di pulizia, ma senza toccare le detrazioni per spese mediche, casa e lavoro. Il tema è toccato anche nel Psb, che parla di “allineamento delle aliquote delle accise per diesel e benzina e/o politiche di riordino delle agevolazioni presenti in materia energetica”. Aumentare le accise sul gasolio si tradurrebbe in un incasso per lo Stato intorno ai 3 miliardi, calcola Assoutenti, che grida alla “stangata” sugli automobilisti. Una ipotesi che agita anche la categoria degli autotrasportatori: la Fai Conftrasporto avverte che non accetterà peggioramenti e chiede al governo “certezze”.
Tra le partite ancora aperte da cui dipendono potenziali altre risorse, oltre alla revisione delle tax expenditures e al concordato preventivo biennale, c’è anche anche il delicato dossier del contributo volontario da chiedere alle banche, e non solo.