(Teleborsa) – In Italia, ci sono oltre 4 milioni di imprese, di cui il 98% sono di piccole e medie dimensioni (PMI), il cuore pulsante dell’economia nazionale, che faticano a trovare personale qualificato. Le PMI impiegano una parte significativa della forza lavoro italiana e sono distribuite capillarmente su tutto il territorio nazionale, il che le rende cruciali per lo sviluppo economico a tutti i livelli. Tuttavia, queste imprese stanno affrontando una crisi occupazionale senza precedenti che non accenna a rallentare. È quanto emerge da una ricerca condotta da I-AER, Institute of Applied Economic Research, su 981 PMI italiane.
Tra il 2024 e il 2028, il mercato del lavoro italiano avrà un fabbisogno compreso tra i 3,1 e i 3,6 milioni di occupati, a seconda dello scenario considerato. Queste previsioni dipenderanno dall’impatto delle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con una grande parte della domanda dovuta ai 2,9 milioni di lavoratori in uscita dal mercato nel quinquennio. In Lombardia si prevede un fabbisogno di 669mila occupati, rappresentando oltre il 18% della domanda nazionale. Seguono Lazio (9,8%), Campania (8,8%), Emilia-Romagna (8,4%) e Veneto (8,3%).
Nonostante la digitalizzazione abbia semplificato il processo di ricerca di lavoro, gli imprenditori italiani continuano a incontrare difficoltà nel trovare candidati adatti anche se utilizzano diversi canali per farlo. Circa il 50% degli imprenditori sfrutta il proprio network di conoscenze per trovare candidati, inclusi passaparola tra colleghi, amici e contatti professionali. Le agenzie di selezione e ricerca del personale rappresentano il 30% delle ricerche di candidati, offrendo un servizio specializzato e accesso a un ampio database di potenziali candidati.
I siti di ricerca lavoro e job board – come Indeed, Monster e Infojobs – sono utilizzati dal 15% delle imprese per pubblicare annunci di lavoro, garantendo maggiore visibilità e attirando numerosi candidati. LinkedIn è utilizzato dal 20% delle imprese, soprattutto per posizioni che richiedono competenze specializzate, grazie alla sua efficacia nel networking e nell’employer branding. Circa il 10% delle assunzioni avviene tramite candidature spontanee inviate direttamente ai siti web delle aziende, che spesso dispongono di sezioni dedicate alle carriere. Infine, i career day e le fiere del lavororappresentano il 5% delle ricerche di personale, particolarmente utili per posizioni junior e stage.
I ricercatori di I-AER hanno rivelato che, ad oggi, oltre il 70% delle PMI intervistate ha difficoltà a trovare personale adeguato. Questo in tutti i settori. Nel settore della tecnologia dell’informazione (IT), la carenza riguarda sviluppatori software, specialisti in cybersecurity e analisti di dati, a causa della rapida evoluzione tecnologica. Il settore manifatturiero fatica a trovare operai qualificati, tecnici di manutenzione e specialisti in automazione industriale, essenziali per la competitività industriale. Nel settore delle costruzioni, carpentieri, muratori ed elettricisti sono figure scarse, mentre la logistica e i trasporti soffrono di una significativa carenza di autisti di camion e operatori di magazzino, aggravata dall’aumento dell’e-commerce. Nel settore alberghiero e della ristorazione, è difficile trovare cuochi, camerieri e addetti alle pulizie a causa delle condizioni di lavoro e dei salari relativamente bassi. Infine, nel settore agricolo, la mancanza di lavoratori stagionali e specializzati nella raccolta e produzione agricola rappresenta un problema significativo.
Tra le principali cause di natura esogena troviamo il disallineamento tra le competenze richieste dalle imprese e quelle offerte dal mercato del lavoro. Il problema è strettamente legato alla richiesta di competenze digitali. Per quasi due terzi dei profili professionali ricercati, le imprese richiedono competenze digitali di base, mentre competenze informatiche avanzate sono necessarie per circa la metà delle figure da assumere. Tuttavia, solo il 27% degli studenti italiani è iscritto a percorsi STEM (discipline scientifico-tecnologiche), e solo il 10% delle donne segue questi percorsi. In questo senso, le principali aree di innovazione su cui investire nel prossimo futuro includono l’analisi dei Big Data, il marketing digitale, l’industria 4.0, i social media e il Cloud Computing. L’invecchiamento della popolazione in Italia è un fattore critico che porta a una riduzione significativa della forza lavoro giovane disponibile. Le PMI si trovano a competere con grandi aziende e multinazionali per attrarre e mantenere i pochi giovani talenti disponibili. Dai dati ISTAT emerge che l’Italia continua a mostrare segni evidenti di questo invecchiamento demografico, con una fecondità tra le più basse dell’UE a 1,24 figli per donna e un’età media al parto stabile di 32,4 anni. La speranza di vita nel 2023 è aumentata a 81,1 anni per gli uomini e 85,2 per le donne, riflettendo un costante incremento della longevità. Con un indice di vecchiaia che ha raggiunto 193,1 anziani ogni cento giovani, l’Italia si conferma tra i paesi più anziani dell’Unione Europea, con implicazioni significative per l’economia e la società. Un altro elemento critico è la complessità normativa e burocratica del mercato del lavoro italiano. Le PMI, che presentano strutture amministrative ridotte rispetto alle grandi imprese, faticano a gestire la complessità delle normative sul lavoro, rendendo il processo di assunzione più oneroso e complicato. Secondo le ricerche di I-AER, il costo della burocrazia vale per le grandi imprese in media il 2% del fatturato, mentre per le PMI questa cifra sale al 4%.
Tra le cause di natura endogena, che spingono le PMI a fare uno sforzo maggiore per risultare attrattive nel mercato del lavoro, invece figurano le condizioni contrattuali e salariali non sempre competitive offerte dalle PMI. Ad esempio, nelle micro-imprese (fino a 10 dipendenti) un operaio guadagna in media 24.337 euro, mentre in aziende medio-grandi (da 250 a 1000 dipendenti) lo stipendio medio è di 27.773 euro. Le multinazionali sono infatti spesso in grado di offrire, oltre a stipendi più elevati, anche molti benefici sociali come buoni vacanza o assicurazioni complementari. Inoltre, emergono dati preoccupanti riguardo all’organizzazione interna delle PMI: solo 2 imprenditori su 10 dichiarano di avere un’organizzazione ben strutturata, in grado di prevedere piani di crescita e attività ben definite. Questo problema è chiaramente legato alla mancanza di visione strategica e alla scarsa pianificazione finanziaria. Infatti, in Italia, solo il 35% degli imprenditori di queste PMI mette in atto una pianificazione economico-finanziaria adeguata.
Alla luce di queste problematiche, emerge la necessità di implementare strategie e politiche che possano supportare le PMI nel superare le difficoltà di reperimento del personale. Prima tra tutte il miglioramento del sistema formativo. È fondamentale un maggiore allineamento tra il sistema educativo e le esigenze del mercato del lavoro. Programmi di formazione professionale più mirati e collaborazioni più strette tra imprese e istituzioni educative possono contribuire a ridurre il gap di competenze. Un’area cruciale per il futuro delle PMI è quella dell’intelligenza artificiale. Secondo uno studio del Parlamento Europeo, entro il 2035, l’IA potrebbe aumentare la produttività del lavoro dal 11% al 37%, permettendo alle PMI di accelerare l’innovazione, condurre analisi predittive e migliorare la gestione dei rischi. Le collaborazioni tra imprese e istituzioni educative si rivelano quindi fondamentali per sviluppare programmi formativi specifici, assicurando che i giovani talenti siano preparati per le sfide future.
Inoltre, le politiche attive del lavoro, come incentivi fiscali e contributivi per l’assunzione di giovani e disoccupati, giocano un ruolo cruciale. Misure che riducono il costo del lavoro possono rendere le PMI più competitive nell’attrarre lavoratori. Proprio in questa direzione è stata varata nella legge di bilancio 2024 una maxi-deduzione fiscale, una sorta di superbonus assunzioni del 120% per le imprese e i professionisti che assumeranno dipendenti a tempo indeterminato. Tale bonus salirà al 130% se i nuovi assunti rientreranno nelle cosiddette categorie fragili: si tratta, per esempio, delle persone con disabilità, delle donne con almeno due figli minori, di quelle vittime di violenza, giovani ammessi agli incentivi all’occupazione giovanile ed ex beneficiari del reddito di cittadinanza. Si tratta – evidenziano i ricercatori – di un primo passo importante, tuttavia un’azione decisa verso la semplificazione normativa e burocratica è indispensabile in tutti gli ambiti.
In conclusione, le difficoltà nel reperire personale qualificato rappresentano una sfida cruciale per le piccole e medie imprese italiane. Il disallineamento tra domanda e offerta di competenze, i problemi demografici e le rigidità normative costituiscono ostacoli significativi. Tuttavia, attraverso una serie di interventi mirati e di politiche adeguate, è possibile supportare le PMI nel superare queste difficoltà e garantire la loro crescita e sostenibilità nel contesto economico nazionale.
Per affrontare immediatamente il problema di trovare personale qualificato, gli imprenditori dovranno lavorare su: miglioramento delle condizioni contrattuali e salariali per rendere l’azienda più competitiva sul mercato del lavoro; promozione attiva l’azienda come un ambiente di lavoro positivo e flessibile, ricco di opportunità di crescita professionale; ottimizzazione del processo di selezione e assunzione per ridurre la burocrazia e velocizzare le decisioni di assunzione, migliorando così la capacità di attrarre e trattenere talenti qualificati.
“Implementando questi interventi, le PMI – concludono i ricercatori – possono non solo affrontare le sfide attuali nel reperimento di personale qualificato, ma anche rafforzare la propria posizione competitiva nel panorama economico italiano”.