(Teleborsa) – Blindato l’accordo dei leader Ue – confezionato da popolari, socialisti e liberali – sui top jobs, i ruoli di vertice delle principali istituzioni dell’Unione europea. Ursula von der Leyen viene proposta all’Eurocamera per un secondo mandato a capo della Commissione Ue. Il voto della Plenaria su von der Leyen è atteso a luglio. A questo voto è legato anche quello di Kaja Kallas: la premier estone è stata anche lei proposta dai leader europei come Alto Rappresentante per la politica estera. L’ex premier portoghese Antonio Costa succederà, invece, a Charles Michel alla guida del Consiglio europeo. Per lui non serve la ratifica della Plenaria. Il sì alla triade che von der Leyen formerà per i prossimi cinque anni ha trovato la maggioranza qualificata, rafforzata, necessaria intorno al tavolo dell’Europa building.
Ma, nonostante il negoziato serrato trainato dai popolari Ue per convincere anche l’esclusa Giorgia Meloni, l’Italia ha bocciato l’intesa astenendosi sul nome di von der Leyen e votando contro Kallas e Costa. “Penso che la proposta formulata da popolari socialisti e liberali sulle nomine Ue fosse sbagliata nel merito e nel metodo – ha detto Meloni al termine del vertice Ue –. Nel merito perché non è stata neanche vagamente anticipata da una discussione su quale debba essere il mandato da dare per chi ricopre questi incarichi a seguito di elezioni nelle quali i cittadini europei hanno chiesto una linea nuova e diversa per l’Ue. E nel metodo perché la logica che si è voluta imporre è quella di maggioranza-opposizione che secondo me non ha alcun senso nei massimi incarichi delle istituzioni europei perché è una logica che si sviluppa nel Parlamento. Lo considero un grande errore, una mancanza di rispetto nei confronti dei cittadini europei e nel voto espresso da loro. Ho ritenuto di raccogliere l’indicazione dei cittadini non sostenendo questa proposta”.
Una posizione pressoché isolata, quella dell’Italia, visto che anche la Slovacchia alla fine ha votato a favore dei top jobs Ue. E perfino Viktor Orban, sul nuovo presidente del Consiglio europeo si è smarcato, tenendo fede alla sua filosofia di una Europa intergovernativa e non a immagine e somiglianza della Commissione. Lo strappo di Meloni ha un bersaglio, innanzitutto: Olaf Scholz e Emmanuel Macron. È contro il loro metodo che la premier ce l’ha prima di tutto. Contro un accordo studiato a tavolino dai sei negoziatori del Ppe e planato sul vertice dei 27 senza possibilità di emendarlo. A nulla è servita la mediazione del Ppe e la moral suasion di Antonio Tajani, che al summit dei Popolari è tornato a chiedere una netta apertura ai Conservatori. A nulla, inoltre, sono servite le affermazioni dei leader europei, entrando all’Europa Building, sulla necessità di tenere l’Italia dentro l’intesa sui top jobs.
Kallas si è detta “onorata” per la “fiducia” riposta in lei, su X ha indicato la strada per un futuro nel quale “garantire che l’Europa sia un partner globale efficace mantenere i nostri cittadini liberi, sicuri e prosperi”. Una soddisfazione condivisa anche da Costa che sempre via social ha assicurato, “con un grande senso di missione”, il suo impegno “a promuovere l’unità tra i 27 Stati membri”.