(Teleborsa) – L’accordo commerciale tra UE e Stati Uniti, che ha portato all’introduzione di un dazio universale del 15% sulle importazioni statunitensi di beni manifatturieri provenienti dall’UE a partire dal 7 agosto, non dovrebbe incidere in modo significativo sulla qualità del credito delle società europee e gli effetti dovrebbero rimanere gestibili. E’ quanto emerge da un’analisi di S&P Global Ratings sull’accordo commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti e sugli effetti – diretti e indiretti – per le aziende europee.
Troppi dettagli indeterminati che prolungano l’incertezza
Sebbene l’accordo commerciale UE-USA sia indicativo di una relazione gestibile fra le due economie, c’è da considerare che gli impegni assunti in Scozia fra Trump e von der Leyen sono accordi di massima, non è ancora giuridicamente vincolanti, e sembrano esserci diverse interpretazioni di quanto concordato in alcuni settori. Fra l’altro, S&P non ritiene che una bozza legale dell’accordo sia pronta a breve e questo rappresenta una fonte di incertezza nel periodo transitorio.
Il dazio del 15%, infatti, non rappresenta un tetto massimo garantito per tutti i settori dell’UE e permangono ancora significative aree di incertezza riguardo al trattamento di alcuni settori, come quello automobilistico, che nel frattempo rimane soggetto a un dazio del 27,5%, quello dell’acciaio e dell’alluminio, che resta assoggettato ad un dazio del 50%, o quello dei semiconduttori, che potrebbe subire gli effetti dell’eccessiva esposizione al settore automobilistico, dal momento che molte aziende europee come Infineon e STM realizzano la metà del fatturato (o quasi) in questo settore. Per l’agenzia di rating restano interrogativi aperti su una serie di settori, come quello automobilistico, farmaceutico, metallurgico e dei semiconduttori, che potrebbero essere soggetti a dazi contingenti diversi.
Effetto dazi gestibile ma vanno considerati anche gli effetti indiretti
S&P ritiene che il deterioramento delle prospettive commerciali derivante dai dazi statunitensi sia gestibile nella maggior parte dei settori aziendali dell’UE. Tuttavia, un dollaro debole sta esacerbando l’impatto dei dazi, aggiungendo pressione sui ricavi e sull’EBITDA espressi in euro.
Pertanto, gli effetti indiretti dell’accordo, come il peggioramento delle condizioni del commercio globale, l’incertezza sui mercati, le potenziali interruzioni nelle catene di fornitura e un indebolimento del dollaro, potrebbero esercitare sulle società europee oggetto di rating pressioni più rilevanti rispetto al dazio stesso.
L’agenzia, pertanto, prevede pressioni sul rating in una serie di settori, come quello automobilistico, nonostante la possibilità di una tariffa più bassa rispetto all’attuale 27,5%, e quello chimico. In questi due settori, gli effetti diretti e indiretti dei dazi stanno aggravando gli ostacoli derivanti dalla debolezza della domanda e da altri fattori, che hanno portato a revisioni delle prospettive e ad alcuni declassamenti del rating. In altri settori, non si osservano invece pressioni specifiche sul merito creditizio.
Rischi non completamente azzerati
L’accordo commerciale UE-USA, insieme all’impegno assunto recentemente dai membri europei della NATO ad aumentare la spesa per la difesa – sottolinea S&P – suggerisce che i rischi potenziali legati all’unilateralismo degli Stati Uniti si siano in parte attenuati, pur restando soggetti a incertezza nel contesto della politica “America First” dell’attuale amministrazione statunitense. Trump, infatti, potrebbe in ogni momento tornare sui suoi passi, ritrattando gli accordi preliminari presi, come ha dimostrato sino ad oggi.
Un aspetto degno di nota dell’accordo UE-USA, ricorda l’agenzia, è l’impegno UE ad investire 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti entro il 2029. ” Riteniamo che questa affermazione sia un’aspirazione piuttosto che un impegno fermo, e ci chiediamo come questi investimenti saranno identificati e monitorati. – sottolinea S&P – Inoltre, considerati gli importi significativi in gioco, è ragionevole supporre che le aziende dell’UE dovranno riconsiderare gli attuali piani di investimento in Europa e in altre regioni. Il reindirizzamento dei fondi verso gli Stati Uniti potrebbe limitare la flessibilità delle aziende nell’allocare gli investimenti nel modo più efficiente, in linea con la loro pianificazione strategica.