(Teleborsa) – Oggi il Bureau of Labour Statistics (BLS) americano ha pubblicato i dati sull’inflazione negli Stati Uniti di settembre, che è risultata inferiore alle previsioni, con un aumento dello 0,3% su base mensile/3,0% su base annua per l’inflazione complessiva e dello 0,2% su base mensile/3,0% su base annua per l’inflazione di fondo (esclusi alimentari ed energia). Le previsioni di consenso erano per un’inflazione complessiva dello 0,4% su base mensile e dello 0,3% su base mensile per l’inflazione di fondo.
Da ricordare che la pubblicazione era stata rinviata, dall’originaria data del 15 ottobre, a causa dello shutdown del governo statunitense, ormai arrivato al suo 24° giorno, che aveva bloccato la diffusione della maggior parte dei dati economici.
“Un dato sull’inflazione più moderato può offrire un sollievo temporaneo, ma invitiamo alla cautela. I dazi non sono ancora stati interamente trasferiti dalle aziende, aggravando il potenziale di effetti di secondo impatto, mentre la Fed prosegue con il taglio dei tassi per un’economia già forte. Il rischio è che la Fed sottovaluti la ripresa dell’inflazione e che anche il mercato la sottovaluti”, ha commentato George Brown, Senior Economist di Schroders.
Di impatto delle tariffe sui prezzi al consumo statunitensi ancora limitato parla anche AcomeA SGR. “La componente di “core goods“, ovvero la categoria dei beni i cui prezzi sono tipicamente meno volatili rispetto ai prezzi per esempio di beni alimentari, mostra una crescita dei prezzi al consumo dello 0,2% rispetto al mese precedente, dato sostanzialmente in linea con il target della Fed, se annualizzato. Nel paniere dei beni core sono evidenti alcune pressioni, per esempio la componente di abbigliamento mostra a settembre una crescita dello 0,7% rispetto al mese precedente, ma questa ha solo un peso marginale nel paniere dei beni al consumo totale. I prezzi di altre componenti, come articoli per la casa e beni di svago, che a luglio avevano mostrato un aggiustamento al rialzo di quasi 1 punto percentuale rispetto al mese precedente, si stanno ora normalizzando. Questo indica che il passaggio delle tariffe sui beni al consumo rimane per il momento limitato solo a determinati beni e per il momento si tratta di un aggiustamento dei prezzi una tantum“, ha analizzato Martina Daga, Macro Economist di AcomeA SGR.
Il risultato è che “le aziende sono in grado di assorbire meglio questi aumenti dei costi, più modesti del temuto, e l’impatto sull’inflazione è stato inferiore a quanto previsto finora”, ha osservato James Knightley, Chief International Economist, US, di ING, che ha aggiunto “Col tempo, prevediamo un aumento dell’aliquota tariffaria effettiva e un impatto più pesante sui prezzi dei beni, ma continuiamo a sostenere che i dazi rappresenteranno un cambiamento una tantum nei prezzi piuttosto che qualcosa che porterà a un’inflazione più persistente. Inoltre, una trasmissione più lenta dei dazi lascia più tempo ai fattori disinflazionistici per fornire una certa mitigazione”.
“Meno legata alle tariffe, ma piuttosto interconnessa con le dinamiche salariali e le condizioni del mercato del lavoro, è invece la componente dei servizi. I prezzi dei servizi a settembre sono cresciuti dello 0,2% rispetto al mese precedente, anche in questo caso un dato consistente con il target della Fed e in rallentamento rispetto ai due mesi precedenti”, ha aggiunto Martina Daga.
In tema di mercato del lavoro, Knightley ha sottolineato che “l’inflazione legata ai dazi rimarrà una preoccupazione nel breve termine, ma è il mercato del lavoro a diventare la questione più urgente per la Fed, con una chiara possibilità che l’economia “poche assunzioni, pochi licenziamenti” diventi una storia “niente assunzioni, licenziamenti”. Ciò mette a repentaglio l’obiettivo di “massimizzazione dell’occupazione” del suo doppio mandato, il che potrebbe a sua volta indebolire l’economia e rischiare di non raggiungere l’obiettivo di inflazione del 2% nel medio-lungo termine”.
Nel complesso il dato di oggi sull’inflazione “dovrebbe contribuire a ridurre la percezione dei rischi al rialzo sui prezzi al consumo derivanti dall’imposizione di tariffe da parte dell’amministrazione Trump e lasciare dunque maggiore spazio alla Fed di continuare con il ciclo dei tagli dei tassi di riferimento“, ha concluso la Macro Economist di AcomeA SGR.
E sul punto, il Chief International Economist US di ING continua a prevedere “un taglio dei tassi di 25 punti base la prossima settimana, con un ulteriore taglio di 25 punti base a dicembre e tagli di 50 punti base all’inizio del 2026″.
Il momento resta cruciale per la Fed considerato che “la pubblicazione dell’indice dei prezzi al consumo di ottobre si preannuncia come un’incognita“, ha ricordato il Senior Economist di Schroders. Oggi infatti la Casa Bianca ha fatto sapere che probabilmente il mese prossimo non ci sarà alcuna pubblicazione dei dati sui prezzi al consumo.
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