(Teleborsa) – Nel 2023 avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro italiani hanno investito complessivamente 1,888 miliardi di euro in tecnologie digitali, +7% rispetto al 2022, con previsioni di ulteriore crescita nel 2024, che dovrebbero portare la spesa digitale a quasi 2 miliardi di euro nell’anno in corso (1,982 miliardi di euro, +5% rispetto al 2023). A investire più in tecnologia si confermano gli studi multidisciplinari, con una spesa media di 25.100 euro, seguiti a distanza dai consulenti per il lavoro (12.900 euro), dai commercialisti (12.100 euro) e infine dagli avvocati, con investimenti medi di 9.500 euro. Sono alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, presentata oggi durante il convegno “Professionisti, qualcuno con cui correre”.
Nel dettaglio, il 41% degli studi multidisciplinari investe più di 10.000 euro e il 37% tra 3mila e 10mila euro. Tra i consulenti per il lavoro, il 31% più di 10mila e il 38% tra 3 e 10mila. Il 23% dei commercialisti investe più di 10mila euro, il 37% tra 3 e 10mila. Solo l’8% degli avvocati spende più di 10mila euro, il 35% tra 3 e 10mila euro. Anche sul fronte della reddittività la categoria legale è quella più in sofferenza: il 40% registra una diminuzione del reddito nell’ultimo biennio, contro il 28% dei commercialisti, il 24% dei consulenti per il lavoro e il 27% dei multidisciplinari.
L’intelligenza artificiale non è ancora compiutamente entrata tra i professionisti, che pure manifestano grande interesse. Oltre l’80% degli studi si sta documentando sulla tecnologia, tra il 5% e il 7% sta valutando lo sviluppo di progetti con altri colleghi e tra il 3% e l’8% è passato all’azione, avviando progetti, con l’ausilio di consulenti esterni o insieme ad altri partner di business (la propensione ad avviare progetti è maggiore tra gli studi di medie e grandi dimensioni). Commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari grazie all’AI vorrebbero soprattutto rendere più efficiente la compilazione e la redazione di documenti e atti, automatizzando le attività ripetitive (tra il 70% e il 72%), mentre gli avvocati al primo posto mettono l’aggiornamento su normative e novità del settore, utilizzando sistemi di ricerca e monitoraggio delle fonti giuridiche (55%).
Per commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari la prima preoccupazione per il futuro è la difficoltà di trovare personale adatto alle esigenze dello studio, al secondo posto ci sono il passaggio generazionale e la necessità di aumentare le dimensioni dello studio, ritenute inadeguate anche dagli avvocati. Al terzo posto, per commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari, c’è la difficoltà di far percepire l’utilità di nuovi servizi alla clientela. Per gli avvocati, invece, la principale preoccupazione è la capacità di elaborare da soli una nuova visione di studio, ma anche la difficoltà di trovare interlocutori con cui sviluppare collaborazioni stabili e la disponibilità di risorse finanziarie da investire in tecnologie evolute.
“Il progresso tecnologico e gli obiettivi di transizione digitale e green avranno un impatto crescente sul mondo professionale, che deve agire in fretta su modelli organizzativi, relazionali e di business per adeguarsi ai nuovi paradigmi e produrre nuovo valore per la clientela – afferma Claudio Rorato, Responsabile scientifico e Direttore dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale -. Per avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari è il momento di correre, per accelerare il livello di digitalizzazione e sostenibilità, sia all’interno delle loro organizzazioni che nel trasferimento alle aziende clienti, fondamentale per supportare le imprese italiane nel processo di cambiamento”.
“La ricerca conferma alcune tendenze degli scorsi anni nella diffusione delle tecnologie digitali negli studi professionali – spiega Francesca Parisi, Ricercatrice dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale -: le soluzioni verticali, tipiche di ciascuna professione sono ormai presenti in più di 8 studi su dieci, ma le restanti tecnologie al massimo nel 50%, quelle avanzate in rari casi, con l’eccezione dei grandi studi, che hanno un portafoglio tecnologico ampio e diffuso. La scarsa diffusione tecnologica è il riflesso di processi lavorativi assestati sui modelli tradizionali, che puntato più sull’ammodernamento dei servizi tradizionali che sull’introduzione di nuove aree di servizio”.