(Teleborsa) – Il decreto legislativo approvato mercoledì sera dal Consiglio dei ministri è solo il primo tassello di un progetto più ampio per aggiornare il Testo unico della finanza (TUF) scritto da Mario Draghi nel 1998. A questo provvedimento ne seguiranno altri, focalizzati su sanzioni e reati, e il tutto confluirà infine nel nuovo Codice dei mercati finanziari, ma intanto il Governo – per cui ha seguito la partita principalmente il sottosegretario del ministero per l’Economia Federico Freni – ha messo mano a molteplici aspetti del mercato dei capitali.
Uno degli elementi principali, per favorire l’afflusso e la permanenza delle società in Borsa, è il nuovo statuto delle neoquotate. Per tutti gli emittenti che decidono di quotarsi – e per le PMI già quotate che aderiranno – si introduce una disciplina di governance più flessibile con lo scopo di valorizzare l’autonomia statutaria. “Sembra essere un elemento positivo per dare a queste imprese l’opportunità di accedere ai mercati dei capitali pubblici e privati in modo più snello e costruire una governance che sia più coerente con le proprie necessità – afferma Marco Giorgino, presidente di Nedcommunity (associazione italiana degli amministratori non esecutivi e indipendenti) – Bisognerà però valutare quanto questa autonomia andrà poi in tutela degli azionisti di minoranza”. Tra le novità ci sono la modalità di elezione del consiglio di amministrazione (con la possibilità di derogare al voto di lista e prevedere la votazione di ciascun singolo amministratore da parte dell’assemblea) e spazi di flessibilità in materia di procedure previste dalla disciplina operazioni parti correlate di minore rilevanza, oltre alla possibilità di escludere il diritto di recesso e di modificare le maggioranze richieste per le modifiche statutarie. “È chiaro che l’autonomia statutaria talvolta può portare a dei fallimenti di mercato, ma voglio pensare che in Italia dare autonomia agli statuti non significhi un “liberi tutti”, ma dare più flessibilità rispetto a soluzioni univoche – afferma Marco Ventoruzzo, presidente di AMF Italia (Associazione Intermediari Mercati Finanziari) – Su singole soluzioni ci possono essere opinioni diverse, e vedremo cosa uscirà dal dibattito parlamentare, ma il filo conduttore è quello di una maggiore autonomia, in particolare per le PMI e le imprese di nuove quotazione, ovvero uno degli elementi che dovrebbe portare anche gli imprenditori a guardare alla quotazione con maggiore attenzione”.
Secondo il Governo, inoltre, uno dei modi per contribuire allo sviluppo e alla maturazione del mercato dei capitali italiano, che soffre strutturalmente di problemi di sottodimensionamento, è rendere più agevole la mobilità tra mercato regolamentato e sistemi multilaterali di negoziazione (MTF), quali i mercati di crescita per le piccole e medie imprese (cosiddetto mercato Growth). Negli ultimi anni, proprio il mercato Euronext Growth Milan (EGM) è quello che ha conosciuto la crescita più significativa. Questo successo può essere sfruttato per favorire l’accesso e la permanenza delle imprese sul mercato dei capitali, spiega chi ha scritto la norma, con il downlisting che, nel rispetto di alcune cautele, può creare un’alternativa valida al definitivo abbandono del mercato (il delisting). “Apprezzo la semplificazione generale per le PMI a cui punta il provvedimento, anche se non c’è nulla di rivoluzionario se non il passaggio dal mercato regolamentato al listino growth“, dice a questo proposito Giovanni Natali, presidente di AssoNEXT (Associazione Italiana delle PMI Quotate). “La cosa veramente significativa per il mondo delle PMI quotate è infatti il downlisting, che potrebbe interessare maggiormente il segmento STAR, dove negli ultimi anni ci sono state poche quotazioni – spiega – Secondo me qualche società STAR – che magari scambia poco, non ha più voglia di fare le trimestrali e vuole abbassare i costi di quotazione – potrebbe scegliere di scendere un gradino sotto. Sembra illogico, perché fin dall’inizio Borsa Italiana ha presentato l’ex AIM come una palestra per andare sul mercato principale, ma io lo giudico positivamente perché ora sarà consentito farlo e comunque spetterà all’emittente decidere se vuole andare su un mercato con meno vincoli regolamentari a quasi parità di liquidità”.
Una novità che ha attirato tanti titoli in questi giorni è la soglia unica per l’obbligo di lancio di un’offerta di acquisto (OPA) totalitaria su una società quotata, che tornerà al 30%. Attualmente, nelle società più grandi un azionista che superi il 25% in assenza di un altro azionista che abbia una quota più alta, deve lanciare un’OPA obbligatoria. Per le società medie e piccole, con una capitalizzazione inferiore a 1 miliardo di euro, la soglia è invece al 30%. “Questa prescrizione interverrebbe proprio in una fase in cui il fenomeno delle OPA e delle OPAS è stato molto acceso – dice Giorgino – In linea del tutto astratta alzare la soglia vuol dire permettere di controllare le imprese con minore impiego di capitali e di fatto renderle meno contendibili. Se l’effetto sarà negativo, lo vedremo nel tempo”. Nel nuovo impianto normativo poi si dimezzerà, da 12 a 6 mesi, il periodo rilevante ai fini della determinazione del prezzo dell’OPA. Tra le novità c’è anche la disposizione che, in caso di emersione di notizie o indiscrezioni aventi a oggetto la preparazione o la promozione di una offerta (i così detti rumors), è attribuito uno specifico potere alla CONSOB, ispirato alla regola del Takeover Code del put up or shut up. L’Autorità di vigilanza potrà stabilire un termine entro il quale il potenziale offerente dovrà rendere nota la effettiva decisione di promuovere una offerta e, in caso di mancata risposta o di risposta negativa da parte del potenziale offerente, a costui sarà inibito per i successivi dodici mesi di promuovere una offerta sui titoli del medesimo emittente.
Questa non è certo l’unica novità per CONSOB, in quanto il nuovo impianto del Codice prevede numerosi interventi sulle Autorità di vigilanza. C’è l’introduzione di un regime di semplificazione procedurale e riduzione degli oneri amministrativi per i soggetti vigilati, anche attraverso un rinvio a regolamenti attuativi della Banca d’Italia e della CONSOB; inoltre, per migliorare il rapporto tra Autorità e partecipanti al mercato, si introduce il modello di cooperative compliance, prevedendo la facoltà per gli operatori di porre quesiti alla CONSOB e alla Banca d’Italia per una valutazione preventiva su specifiche situazioni che potrebbero comportare violazioni di disposizioni oggetto della rispettiva vigilanza. “Ne esce una CONSOB più adatta ai tempi e con delle potenzialità in mano che potrà sfruttare, con un ruolo più attivo e ancora più autorevole – dice Ventoruzzo – In altre parole, ne esce una CONSOB in linea con l’esigenza – compresa da tutti – di più semplificazione e approccio favorevole allo sviluppo dei mercati. Nel decreto ci sono infatti delle semplificazioni rilevanti – per emittenti e intermediari – che però non vanno a incidere in modo negativo sulla protezione. Ci sono degli strumenti, alcuni già usciti come la disciplina degli impegni che è molto importante e va nel senso di un dialogo con gli operatori di mercato, nei quali la flessibilità è stata ottenuta dando a CONSOB il potere di fare certe cose”.
Sul fronte della semplificazione degli oneri informativi, si propone l’abrogazione dell’obbligo di pubblicazione delle informazioni regolamentate sui giornali quotidiani nazionali, eliminando una forma di gold plating per ridurre i costi di quotazione, mantenendo la trasparenza attraverso i canali informatici. Per quanto riguarda la modalità di svolgimento dell’assemblea, per favorire la funzionalità e fluidità, si promuove il ricorso a modalità alternative alla riunione in presenza, pur garantendo che una minoranza qualificata (1/20 dei diritti di voto) possa richiedere tale modalità.
La riforma riconosce anche che venture capital e private debt sono tasselli fondamentali di un ecosistema finanziario più dinamico. Si introduce, tra le altre cose, la distinzione tra gestori autorizzati e gestori di fondi di investimento alternativi (FIA) sotto soglia registrati, con l’obiettivo di adeguare gli obblighi di vigilanza e i controlli alla diversa dimensione e natura dei soggetti operanti, e c’è un allineamento della normativa nazionale ai regolamenti europei relativi ai gestori di fondi EuVECA ed EuSEF, oltre che l’inclusione degli enti previdenziali privatizzati tra i clienti professionali di diritto, al fine di semplificare la loro operatività e favorire la canalizzazione degli investimenti verso le imprese. Una novità assoluta è la figura delle società di partenariato, costituite nella forma di società in accomandita per azioni e destinate all’investimento collettivo in operazioni di private equity e venture capital. “Si tratta di un modello di gestore che a livello internazionale è molto diffuso ed è conosciuto nella forma della limited partnership – spiega Innocenzo Cipolletta, presidente di AIFI (Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt) – È nata nel mondo anglosassone ma l’hanno disciplinata anche in altri paesi di civil law, come ad esempio la Francia. Quindi avvicina il nostro ordinamento all’esperienza degli altri paesi. Può essere uno strumento flessibile per svolgere l’attività di private capital, soprattutto apprezzato dagli investitori internazionali che privilegiano il veicolo societario”. La speranza dell’associazione è che la complessiva maggior flessibilità faccia partire anche operatori più piccoli, preziosi per sostenere il sistema di piccole medie imprese e per l’arena del venture capital. In ogni caso la società di partenariato “è uno strumento in più, a catalogo, per investire nel nostro sistema di piccole e medie imprese con un valore segnaletico rilevante sul mercato della raccolta dei capitali – aggiunge Cipolletta – Può essere scelto da nuovi gestori sia nazionali che internazionali per fare convogliare capitali verso i progetti di sviluppo sul nostro territorio. Deve essere accompagnato, per avere piena efficacia, anche da un’attività di sensibilizzazione per veicolare la raccolta verso il comparto finanziario del private capital”.
L’attenzione degli operatori sarà ora sul dibattito parlamentare, da cui potranno venire spunti ulteriori e interessanti di cui tenere conto, o limature delle prime formulazioni, in attesa della revisione del sistema sanzionatorio, l’altro cardine della riforma. “Stiamo lavorando per eliminare definitivamente il doppio binario: ciò che sarà considerato illecito amministrativo non sarà reato, e viceversa – ha detto Freni al Sole 24 Ore – Basta duplicazioni di sanzioni, dunque. Poi il ritorno alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le sanzioni, e ancora una razionalizzazione dei modelli procedimentali per garantire al mercato un procedimento snello e moderno”.