(Teleborsa) – Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti starebbe prendendo in considerazione la possibilità di scorporare Google per contrastare il monopolio esercitato sui motori di ricerca. È quanto ha riportato il Financial Times che fa riferimento ad un documento preparato dal tribunale che sta valutando come sanzionare il gigante tech dopo la storica sentenza arrivata ad agosto e in cui è stato definito “monopolista”.
Il documento descrive le sanzioni che il Dipartimento di Giustizia potrebbe richiedere al giudice che presiede il caso. In particolare si fa riferimento a “rimedi comportamentali e strutturali” che i pubblici ministero potrebbero richiedere per impedire a Google di utilizzare i suoi prodotti – ad esempio il browser Chrome, l’app store Play o il sistema operativo Android – per dare al suo motore di ricerca un vantaggio competitivo nei confronti degli attuali concorrenti ma anche nuovi player.
Tra questi rimedi è stata inserita la possibilità di costringere Google a condividere i dati di ricerca degli utenti con i rivali e di limitare la sua capacità di utilizzare i risultati di ricerca per addestrare nuovi modelli e prodotti di intelligenza artificiale generativa. Una decisione sul caso è attesa entro agosto 2025. Google ha comunque già fatto sapere che presenterà ricorso contro la decisione fino alla Corte Suprema degli Stati Uniti.
“Per più di un decennio, Google ha controllato i canali di distribuzione più popolari, lasciando ai rivali scarsi o nulli incentivi a competere per gli utenti”, ha dichiarato il Dipartimento di Giustizia. “Per porre rimedio a questi danni è necessario non solo porre fine al controllo di Google sulla distribuzione oggi, ma anche garantire che Google non possa controllare la distribuzione di domani”, ha aggiunto.
“Uno smembramento di Google riorganizzerebbe un mercato di ricerca in cui l’azienda gestisce oltre il 90 percento delle query online e trasformerebbe un’attività che ha reso la sua società madre, Alphabet, una delle più preziose al mondo”, ha fatto notare il Financial Times.
(Foto: Pawel Czerwinski su Unsplash)