(Teleborsa) – “È vero che le tecniche di fecondazione in vitro, grazie anche all’utilizzazione della diagnosi genetica preimpianto, sono state in grado di aumentare i tassi di successo delle tecniche di PMA, ma da uno studio che abbiamo presentato ad Amsterdam al 40° Congresso della Società europea di Medicina della riproduzione ed embriologia (ESHRE) emerge che la possibilità di gravidanza e di impianto cambia se gli embrioni se pur sani geneticamente sono di una donna dopo i quarant’anni rispetto a quelli di una donna giovane”.
È quanto ha affermato Ermanno Greco, Presidente della Società Italiana della Riproduzione (S.I.d.R.) e responsabile del gruppo di Medicina della Riproduzione ICSI ROMA Villa Mafalda, in merito allo studio presentato ad Amsterdam dalla dottoressa Ilaria Listorti del gruppo ICSI Roma Villa Mafalda.
“Ciò fa ritenere che oltre alla genetica – ha proseguito – ci siano tutta un’altra serie di fattori a partire dalla macchina metabolica fino all’espressione genetica embrionaria a determinare la nascita di un bambino”.
Dallo studio – ha spiegato Greco – è emerso inoltre che “nuove tecniche di selezione degli spermatozoi nei programmi PMA possono aumentarne la percentuale di successo. Spesso si dimentica che l’infertilità maschile costituisce almeno il 50% delle infertilità che approcciano un programma PMA. Un maschio infertile non presenta solo spermatozoi quantitativamente anormali, ma soprattutto qualitativamente. In questo caso, le nuove tecniche di selezione attraverso i microfluidi possono costituire un mezzo valido per assicurare maggiore sicurezza e successo nei programmi di PMA”.
“A disposizione della donna infertile – ha poi osservato Greco – vi è una nuova tecnica di ringiovanimento ovarico. Il sangue autologo arricchito di Piastrine (PRP) si è infatti dimostrato in grado, se iniettato all’interno delle ovaie, di aumentare la riserva ovarica e ottimizzare le tecniche di PMA anche in quelle donne che hanno una diminuzione, senza dover per forza ricorrere a programmi di ovodonazione”.