(Teleborsa) – “I dati sul commercio diffusi oggi dall’Istat certificano come gli italiani siano a “dieta forzata” e continuino a contrarre gli acquisti di cibi e bevande”. È quanto afferma Assoutenti, che giudica negativamente i dati sulle vendite al dettaglio diffusi oggi dall’Istat. Sulla stessa linea il Codacons per il quale “i dati sulle vendite al dettaglio sono ancora insoddisfacenti, e continuano a risentire dell’onda lunga del caro-prezzi che ha investito alcuni comparti nel nostro Paese”. L’incremento dello 0,5% e dell’1% su base annua delle vendite al dettaglio in valore registrato dall’Istat a luglio rispetto al mese precedente è dovuto “all’effetto vacanze” ma “restano ombre” sottolinea l’Unione Nazionale Consumatori.
“Se i saldi estivi hanno dato un evidente aiuto al commercio nel mese di luglio, con una crescita delle vendite dei beni non alimentari sia su base mensile che su base annua, è senza dubbio un segnale allarmante il fatto che le famiglie abbiano ridotto il volume degli acquisti alimentari addirittura del -0,7% sul 2023 – spiega il presidente di Assoutenti Gabriele Melluso –. Questo significa che le famiglie sono di fatto ‘a dieta’, riducono il volume di spesa nel settore di cibi e bevande e modificano le proprie abitudini, riducendo anche la qualità degli acquisti alimentari allo scopo di risparmiare. Per questo sollecitiamo ancora una volta il Governo ad intervenire adottando misure tese ad accelerare la discesa dei prezzi al dettaglio, combattere le speculazioni e tutelare il potere d’acquisto delle famiglie, in modo da far ripartire i consumi e sostenere commercio ed economia”.
“La forbice tra valori e volumi delle vendite continua ad essere ancora ampia – spiega il presidente del Codacons Carlo Rienzi –. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, infatti, il commercio segna a luglio un incremento del +1% in valore a fronte di un modestissimo +0,1% in volume. Preoccupa in modo particolare l’andamento dei beni alimentari, le cui vendite scendono a luglio del -0,7% in volume, e addirittura del -1,4% nei primi sette mesi del 2024 rispetto all’equivalente periodo del 2023. I numeri dimostrano purtroppo come l’onda lunga del caro-prezzi continui ad avere effetti sui comportamenti di spesa degli italiani, portandoli a tagliare i consumi alimentari e spingendo le famiglie sempre più verso i discount, esercizi che segnano la più forte crescita delle vendite nel 2024, pari al +3% su base annua”.
“Dati positivi, dovuti all’effetto vacanze. Non per niente il rialzo tendenziale maggiore riguarda i prodotti di profumeria e cura della persona, come le creme solari, particolarmente venduti in estate. Restano, però, delle ombre. Prosegue, infatti, la cura dimagrante forzata degli italiani, costretti a stringere la cinghia e a mangiare meno cibo dello scorso anno! Scendono, infatti, le quantità di cibo vendute, -0,7% rispetto a luglio 2023” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. Secondo lo studio dell’Unc, se si traduce in euro il dato dei volumi consumati su luglio 2023, le spese alimentari per una famiglia media scendono su base annua di 40 euro a prezzi del 2023, quelle non alimentari salgono di 106 euro, con un saldo finale positivo e pari a 66 euro. Una coppia con 2 figli acquista 56 euro in meno di cibo e 147 euro di beni non alimentari in più, per una cifra complessiva di 91 euro, mentre per una coppia con un figlio sono 51 euro in meno per mangiare.
Nessun entusiasmo nemmeno dal lato del commercio. “Non desta entusiasmo la modesta crescita in volume registrata a luglio dalle vendite al dettaglio, peraltro depotenziata dalla revisione al ribasso della stima per il mese di giugno. Non si modifica, dunque, una situazione che sul versante dei consumi, in particolare di beni, rimane molto fragile. Gli indici dei volumi acquistati, al di là di piccole oscillazioni mensili, sono fermi sui valori di fine 2023 e rimangono negativi nel confronto annuo, come, peraltro, evidente anche dalle più solide evidenze della contabilità trimestrale: cresce il reddito reale, resta bloccata la spesa – commenta l‘Ufficio Studi Confcommercio –. Questo scenario coinvolge le performance dei vari settori di consumo e dei diversi formati distributivi, con accentuazioni negative per le piccole superfici di vendita. Al netto della componente inflazionistica, nei primi sette mesi di quest’anno i piccoli negozi registrano cali di oltre il 16% rispetto all’analogo periodo del 2018, a fronte di un raddoppio dei volumi transitati dal canale virtuale. Particolarmente penalizzati, oltre agli acquisti di alimentari, sono stati l’abbigliamento, le calzature e i mobili. Non può stupire, di conseguenza, la progressiva riduzione dei livelli di servizio commerciale di prossimità nella maggior parte delle città italiane”.
Una fotografia condivisa da Confesercenti. “La spesa delle famiglie è ancora in affanno: il dato Istat sulle vendite al dettaglio del mese di luglio ci consegna un quadro di debole miglioramento, con una variazione media delle vendite anno su anno positiva in valore, dell’1%, e leggermente sopra lo zero in volume, ad indicare che la spesa in termini reali arranca e non riesce a superare la dinamica dei prezzi, seppur in forte contrazione. Inoltre, nel periodo gennaio-luglio le vendite in volume – commenta Confesercenti – sono ancora ampiamente in campo negativo, -1%, ed in particolare mostrano segnali di forte criticità le piccole imprese con una variazione negativa che raggiunge l’1,8%. Dunque, nonostante i miglioramenti sul fronte del reddito disponibile, l’occupazione che continua a registrare andamenti positivi e da una dinamica inflattiva in netto ridimensionamento, le famiglie stentano ancora ad accrescere in maniera consistente gli acquisti, anche perché stanno ricostituendo le disponibilità di risparmio. Nonostante il mese dei saldi di luglio, nel comparto non alimentare le vendite di abbigliamento e pellicceria crescono solo dello 0,8%, aumento che temiamo trainato da web e grande distribuzione: secondo un sondaggio condotto tra i nostri associati in occasione dei saldi estivi da poco terminati nella maggior parte delle regioni italiane, il 61,9% delle piccole imprese della distribuzione moda che abbiamo interpellato ha registrato vendite inferiori rispetto allo scorso anno, mentre solo il 27,9% segnala una performance stabile e appena il 10,2% in crescita. Auspichiamo perciò che nei prossimi mesi si manifestino i benefici di una tornata contrattuale che ha recuperato sulla dinamica inflazionistica degli scorsi anni: l’effetto sarebbe più netto, come chiediamo da tempo, se gli incrementi salariali fossero detassati”.